Auto elettrica: oggetto dei desideri (a quattro ruote) degli italiani

Nonostante gli studi dimostrino che i motori a gasolio più recenti siano amici dell’ambiente, è l’auto elettrica il nuovo oggetto dei desideri a quattro ruote degli italiani. Questo è quanto emerge dalla ricerca commissionata da Unrae, l’Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri, al Censis, e da un sondaggio elaborato da Quintegia su 1.366 potenziali acquirenti italiani d’auto tra i 25 e i 65 anni. L’auto elettrica risulta infatti desiderata dal 50% degli intervistati, poco meno delle auto ibride (61%), e più del Gpl, che conquista il 43%. Una vera rivoluzione se si considera che questi tre tipi di alimentazione rappresentano nel primo quadrimestre 2018 appena il 10% del mercato.

Il diesel scivola in coda alle preferenze degli automobilisti

Il diesel diventa quindi la Cenerentola, riporta una notizia Ansa, e scivola in coda alle preferenze con una quota del 37%, anche se a oggi conquista il 54,8% dell’immatricolato.

Le motivazioni che portano a preferire i motori alternativi a benzina e diesel sono numerose: più della metà (55%) degli intervistati orientati verso un’auto elettrica ritiene importante l’aspetto ecologico, mentre il 47% ne rileva i vantaggi economici, in particolare, i risparmi sul bollo auto.

E se il 44% è affascinato dal possedere l’auto del futuro, il 32% apprezza la possibilità di muoversi in libertà, uno stimolo particolarmente importante in città come Milano e Roma, dove rispettivamente il 43% e 42% è attratto dalla possibilità di accedere alla Ztl ed evitare i blocchi del traffico.

I propulsori a gasolio però risultano ancora i più puliti

Come però sottolinea la ricerca di Unrae, il diesel non è inquinante come si crede. Considerando l’intero ciclo produttivo dell’energia i propulsori a gasolio risultano infatti ancora i più puliti. Inoltre, una ricerca del Cnr a compendio del rapporto Unrae dimostra che le tecnologie motoristiche in sviluppo saranno in grado di proiettare i motori convenzionali a un livello di inquinamento praticamente trascurabile nel prossimo decennio, e che il motore a combustione interna resta strategico per una efficace transizione verso una mobilità CO2 Neutral per i paesi europei.

Anche le auto elettriche inquinano

Per quanto riguarda le auto elettriche, sempre considerando l’intero ciclo produttivo dell’energia, l’energia elettrica necessaria per caricare le batterie dei veicoli con questo tipo di motorizzazione è ben lontana dall’arrivare da fonti 100% rinnovabili. Pur non emettendo direttamente gas nocivi, dunque, anche le auto elettriche inquinano.

In ogni caso, al di là dei dati e delle ricerche, ciò che frena gli italiani dall’acquistare un mezzo elettrico è la mancanza di colonnine di ricarica, il prezzo elevato delle auto, e l’autonomia ridotta delle stesse.

Occhio alle app che spiano i bambini

Almeno una app di Google Play per Android su cinque raccoglie impropriamente “indirizzi o altre informazioni di identificazione personale”. Questo è l’allarme lanciato da uno studio dell’Università di Berkeley, la University of British Columbia e la Stony Brook University di New York. Analizzando 5.855 app dedicate alle famiglie o ai bimbi lo studio ha infatti riscontrato in circa 281 di esse la raccolta di dati di contatto o di posizione senza alcuna approvazione preventiva del genitore. Un furto di dati che violerebbe i regolamenti federali degli Stati Uniti, i cosiddetti COPPA, i Children’s Online Privacy Protection Act del 1999.

A preoccupare gli esperti sono soprattutto i dati relativi alla geolocalizzazione

Lo studio ha rivelato che il 28% delle app prese in esame ha bypassato le autorizzazioni di Android per accedere a “dati sensibili”, mentre il 73% delle app in questione ha direttamente raccolto questo tipo di dati, riferisce Adnkronos.

Fra i dati raccolti senza alcuna autorizzazione, a preoccupare gli esperti sono soprattutto quelli relativi alla geolocalizzazione degli utenti: “I dati di geolocalizzazione – si legge nello studio – non solo rivelano dove vivono gli individui, ma potrebbero anche consentire deduzioni fra le altre cose sulle loro classi socioeconomiche, abitudini quotidiane e condizioni di salute”. La maggior parte delle violazioni, inoltre, riguarderebbe applicazioni pensate per lo svago.

Le violazioni potrebbero essere valutate dalla Commissione federale per il commercio

Tra gli sviluppatori passati sotto la lente attenta degli esperti, particolarmente eclatante – è stato giudicato il caso della Tiny Lab, di cui ben 81 app testate su 82 condividono con gli inserzionisti coordinate GPS. Una chiara violazione del COPPA, insomma, che è stato progettato proprio per proteggere la privacy dei bambini e che richiede a siti web e app l’ottenimento di un’autorizzazione di un genitore prima di raccogliere informazioni private di un utente di età inferiore ai 13 anni. Si tratta quindi di violazioni che ora potrebbero essere valutate dalla Commissione federale per il commercio.

Google: “Proteggere i bambini e le famiglie è una priorità assoluta”

Google, intanto, ha fatto sapere attraverso un portavoce di prendere “seriamente” i risultati dello studio. “Proteggere i bambini e le famiglie è una priorità assoluta e il nostro programma Designed for Families richiede che gli sviluppatori rispettino requisiti specifici oltre alle nostre norme standard di Google Play. Se dovessimo stabilire che un’app viola le nostre norme, allora agiremo”. Almeno, questo è quanto promettono da Mountain View

Monito della Bce ai Paesi dell’eurozona: sulla riforma pensioni non si torna indietro

La Bce ribadisce il monito ai Paesi dell’eurozona affinché continuino ad attuare con efficacia le riforme del sistema previdenziale adottate negli ultimi anni. No a passi indietro sulle riforme delle pensioni, quindi, o si metterebbe a rischio la sostenibilità dei conti pubblici.

Le dinamiche demografiche avranno infatti implicazioni macroeconomiche e fiscali fondamentali per l’area dell’euro. “In particolare, l’invecchiamento comporterà un calo dell’offerta di lavoro e avrà probabilmente effetti negativi sulla produttività”, si legge in un articolo contenuto nell’ultimo Bollettino economico della Banca centrale europea.

L’impatto economico dell’invecchiamento demografico

Oltre a comportare cambiamenti nei prezzi relativi per motivi principalmente riconducibili a spostamenti della domanda, l’invecchiamento demografico avrà un impatto anche sulla spesa pubblica e la sua composizione. Secondo la Bce le conseguenti pressioni al rialzo per pensioni, assistenza sanitaria e cure a lungo termine renderanno problematico per i Paesi dell’area ridurre il consistente onere del debito e assicurare la sostenibilità dei conti pubblici nel lungo periodo.

“L’aumento dell’età di pensionamento – si legge ancora nel testo – potrebbe ridimensionare gli effetti macroeconomici negativi dell’invecchiamento, grazie all’effetto favorevole sull’offerta di lavoro e sul consumo interno. Al contrario, la riduzione del tasso di sostituzione tenderà a contrastare in misura molto limitata tali effetti macroeconomici, mentre l’aumento delle aliquote contributive tenderà di fatto ad esacerbarli”.

L’Italia in prima linea per le riforme pensionistiche

Tra i Paesi che hanno adottato riforme previdenziali in piena crisi economica c’è l’Italia, con gli interventi definiti dal governo Monti e che prendono il nome dalla responsabile del Lavoro Elsa Fornero. Si tratta di un pacchetto di interventi che è stato oggetto anche della recente campagna elettorale italiana. Ma se la Bce non entra nel merito alle singole riforme dei Paesi membri, tutti i Paesi sono invitati a evitare dietrofront in materia pensionistica. Anzi. “L’implementazione di ulteriori riforme – affermano gli econosmisti della Bce – non deve essere differita, anche in vista di considerazioni di economia politica”.

Le riforme previdenziali concorreranno a ridurre l’effetto fiscale dell’invecchiamento

“Mentre le riforme previdenziali concorreranno a ridurre l’effetto fiscale dell’invecchiamento della popolazione, le loro implicazioni macroeconomiche precise potrebbero variare considerevolmente a seconda della natura specifica di questi provvedimenti di riforma”, continua la Bce.

Questi risultati sono confermati da simulazioni basate su modelli, affermano gli economisti, precisando però che si tratta di valutazioni generiche che “non consentono di trarre conclusioni relative ai piani di riforma dei singoli Paesi”.

Il pericolo hacker corre sul filo delle tasse

Già pagare le tasse non è certo un bel momento per i cittadini. Figuriamoci poi se questa pratica, giusta e corretta per carità, viene addirittura associata al pericolo di farsi rubare diversi dati sensibili. Eppure è proprio così. Essere un contribuente onesto può mettere a repentaglio la propria sicurezza informatica.

Il pagamento delle imposte “controllato” dai truffatori

Gli hacker e i truffatori online, rivela un recente report condotto da Kaspersky Lab, hanno imparato a sfruttare il momento del pagamento delle tasse per mettere le mani su  quantità gigantesche di informazioni personali degli utenti. Il report ha monitorato i casi di diversi paesi nel mondo, tra cui l’Italia. I numeri parlano chiaro: ad esempio, ad aprile del 2016 in Canada, Stati Uniti e Regno Unito sono stati rilevati notevoli picchi di phishing online che avevano come tema le imposte.

Dati personali e bancari a rischio hackeraggio

L’analisi, ripresa dall’Ansa, rivela che tra le informazioni raccolte dai truffatori ci sono i dettagli delle carte bancarie, previdenza sociale, patente, l’indirizzo, il numero di telefono. Inoltre, secondo la ricerca, nel 2017 sono stati rilevati un numero crescente di attacchi che utilizzavano siti online di autorità fiscali falsi ma ‘vestiti’ in modo da sembrare autentici.

In Italia il caso è stato il falso sito del ministero della Difesa 

In Italia i casi di “furto” informatico non sono stati rari. Per il nostro paese il rapporto Kaspersky cita l’esempio eclatante di alcuni utenti truffati da un falso sito del ministero della Difesa. Gli ignari utenti inserivano i propri dati in assoluta tranquillità, convinti di essere nel “posto” giusto. Dopo l’accesso, avvenuto in assoluta buona fede – chi mai metterebbe in dubbio il ministero della Difesa? – gli hacker riuscivano a bloccare il computer con un virus. A questo punto, al povero malcapitato arrivava il messaggio di richiesta di riscatto da parte dei cybercriminali.

I consigli per gli utenti al fine di tutelarsi

“Non tutti i contribuenti possono riconoscere una truffa quando e persino gli utenti più esperti possono essere ingannati dalla promessa di un rimborso fiscale”, spiega Nadezhda Demidova, Lead Web Content Analyst di Kaspersky Lab. Che fornisce anche alcuni preziosi consigli utili per non cadere nelle truffe. Le indicazioni principali, che poi sono sempre le stesse, sono quelle di memorizzare online l’indirizzo ufficiale del servizio fiscale del proprio paese ma anche di controllare l’indirizzo web da cui si riceve la richiesta di inserire le proprie credenziali.

Tariffe Mobile: i device o servizi inclusi incidono per il 48%

Quanto conviene nei fatti una tariffa mobile che comprende anche l’eventuale servizio o device già compreso nel prezzo? Difficile fare un calcolo preciso, da soli. Per rispondere a questa domanda, SosTariffe.it ha analizzato le offerte mobile che includono un servizio (streaming TV o musica) o device (mobile, WiFi o altro) gratuito. I risultati? Si scopre che le tariffe mobile con un servizio o dispositivo incluso hanno un costo medio annuo di circa 478 euro e questo beneficio aggiuntivo ha un valore di mercato medio di 232 euro, che rappresenta il 48% di quanto speso annualmente per sottoscrivere l’offerta. L’analisi di SosTariffe.it ha stimato il prezzo di tutte le offerte per la telefonia mobile attivabili, a gennaio 2018, con un bene o servizio incluso nel piano e il loro relativo valore di mercato, in modo da stimare la convenienza effettiva di queste promozioni.

Conti alla mano

L’analisi evidenzia che per attivare una tariffa mobile con un servizio o device incluso, si spendono circa 478 euro l’anno. Secondo i calcoli di SosTariffe.it, i benefici – servizi o device inclusi con le tariffe mobile – hanno un valore di mercato pari a circa 232 euro. Questo significa che, attivando queste offerte, si ottiene un servizio o un device del valore pari al 48% di quanto si sta spendendo.

Tutti i servizi o device inclusi nelle tariffe mobile

SosTariffe.it ha suddiviso la studio individuando, per ogni categoria di dispositivo o servizio incluso nelle tariffe, gli stessi parametri calcolati per l’analisi generica dell’osservatorio.

Secondo questi calcoli, i device per i quali si spende di più sono quelli video (GoPro, videocamere o supporti video). Per questa categoria il costo annuo medio dell’offerta corrispondente è di circa 647 euro. Il valore medio di mercato del benefit acquisito è di 366 euro, pari a quasi il 57% della spesa sostenuta.

Anche per le console giochi e gli smartwatch si spendono annualmente oltre 600 euro: rispettivamente 645 euro per avere un device del valore di 305 euro (47%) e 660 euro per ottenere un orologio intelligente dal valore di 332 euro (50,4%).

I costi dello streaming

I servizi di streaming TV o musica, come Netflix o Tidal, incidono per circa la metà sul costo annuo delle tariffe mobile. Hanno un valore medio di 54 euro e si ottengono gratuitamente con offerte mobile che costano in media 101 euro l’anno. Questo significa che si ottiene un servizio che vale quasi il 54% di quanto pagato.

I dispositivi utilizzabili per lo sport (del valore medio di circa 300 euro) sono inclusi in tariffe che hanno un costo annuo medio di 572 euro, mentre il mobile WiFi e altri apparecchi per smart home si ottengono con offerte che implicano un costo annuo rispettivamente di 175 euro e 545 euro. Considerando che un mobile WiFi costa in media circa 70 euro e i dispositivi domestici (termostati o telecamere per la video sorveglianza) circa 198 euro, è come se si recuperasse il 39,7% e il 36,2% del valore speso.

Lavoro, bene il terzo trimestre: +79mila posti

Buone notizie sul fronte dell’occupazione nazionale, probabilmente trascinata in positivo dalla crescita del Pil. Il tasso di occupazione registrato nel terzo trimestre del 2017 segna infatti il + 0,2% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.i dati sono il frutto delle rilevazioni dell’Istat, che evidenziano anche che il Pil, sempre nel trimestre in esame, sia cresciuto dello 0,4% in termini congiunturali e dell’1,7% su base annua.

In area euro buone performance dall’industria

Gli indicatori sono rosei in tutta l’area euro: l’economia dei paesi Ue è cresciuta dello 0,6% rispetto al trimestre precedente e del 2,5% nel confronto con lo stesso trimestre del 2016. Una performance che pare particolarmente buona  per l’industria in senso stretto e per le costruzioni che ha generato una maggiore produttività e di conseguenza un’aumentata richiesta di forza lavoro. Le ore complessivamente lavorate sono salite dello 0,7% sul trimestre precedente e del 2,4% su base annua.

Crescita congiunturale per l’occupazione

Il terzo trimestre del 2017 presenta anche una nuova crescita congiunturale per quanto riguarda l’occupazione (+79mila, 0,3%) dovuta all’ulteriore aumento dei dipendenti (+101mila, +0,6%), soltanto nella componente a tempo determinato a fronte della stabilità del tempo indeterminato. Continuano invece a calare gli indipendenti (-22mila, -0,4%). Il tasso di occupazione cresce di 0,2 punti rispetto al trimestre precedente arrivando al 58,1%.

Mercato del lavoro, bene per donne e Mezzogiorno

Rispetto al trimestre dell’anno precedente il periodo esaminato del 2017 vede l’incremento di 303mila occupati (+1,3%) circoscritta ai dipendenti (+2,3%), soprattutto a termine, a fronte di una nuova diminuzione degli indipendenti (-1,8%). L’incremento in termini assoluti è più consistente per gli occupati a tempo pieno. La crescita dell’occupazione riguarda entrambi i generi e tutte le ripartizioni ed è più intensa per le donne e nel Mezzogiorno. Nel terzo trimestre 2017 torna a crescere l’occupazione per i giovani 15-34 anni e il relativo tasso di occupazione, sia in termini tendenziali sia congiunturali, continua l’Istat. In contemporanea, sale la domanda di lavoro da parte delle imprese (+1% sul trimestre precedente). Per quanto riguarda le retribuzioni, in termini congiunturali c’è stato un aumento dello 0,3% delle retribuzioni, dello 0,7% degli oneri sociali e una crescita dello 0,4% del costo del lavoro.

Disoccupazione stabile rispetto al trimestre precedente

L’Istat, infine, mette in luce che il tasso di tasso di disoccupazione nel nostro paese si mantiene stabile all’11,2% nel terzo trimestre 2017 rispetto al trimestre precedente. Diminuisce però di 0,4 punti rispetto a un anno prima.

Milano e Lombardia: architettura e design abitano qui

Milano si conferma la capitale italiana dell’architettura e del design, e le altre province della Regione la seguono a ruota. Lo rivelano i numeri della Camera di Commercio: le imprese del settore di Milano concentrano 3,5 miliardi di fatturato, che arrivano a 5 includendo Monza. Non solo: il capoluogo lombardo riunisce quasi 12 mila addetti che raddoppiano con la Brianza e vanta 3.548 imprese che diventano circa 6 mila con Monza Brianza e Lodi.

Un comparto che cresce

In particolare, negli ultimi cinque anni è aumentata a Milano la concentrazione del settore legno e arredo: + 3,3% per le 3.548 imprese grazie ai designer specializzati (+19,5%, rispetto a un dato lombardo e italiano intorno al +10%). Un quadro di crescita, secondo i dati della Camera di commercio di Milano, Monza Brianza e Lodi al terzo trimestre 2017, anche negli scambi.

Exploit per l’export

Boom dell’export milanese in un anno, + 24%, che tocca i 263 milioni. Il capoluogo si posiziona sesto nella classifica nazionale dell’export, dopo Treviso, Monza, Pordenone, Como, Udine. Ha dichiarato Elena Vasco, Segretario Generale della Camera di commercio di Milano, Monza Brianza e Lodi: “La Triennale è parte importante di una Milano capace di continua innovazione. Il tema scelto quest’anno, ‘Broken Nature’, è dedicato all’ambiente nel quadro di un’architettura attenta alla conservazione del territorio e proiettata verso il futuro. In una fase di crescita delle imprese milanesi, grazie soprattutto al design, la XXII Esposizione è un punto di riferimento attrattivo aperto al mondo”.

Architettura, mobili e design in Lombardia

In questo comparto, sono 14 mila le imprese attive in Lombardia, 56 mila gli addetti e 8,7 miliardi il business generato. A livello nazionale, le imprese del settore architettura, mobili e design sono 73 mila, 260 mila gli addetti e 29 miliardi il giro d’affari. Milano concentra 3,5 miliardi di fatturato, che arrivano a 5,3 includendo Monza e Lodi, quasi 12 mila addetti che raddoppiano a 24 mila con anche Monza e Lodi, 3.548 imprese che diventano 6.159 con Monza e Lodi. Un settore orientato all’estero con 3 miliardi di scambi in un anno per la Lombardia su un totale italiano di circa 12.

Le performance dell’import/export

La Lombardia esporta 1,6 miliardi nel settore legno-arredo su un totale nazionale di 5,7 miliardi. Prima Monza (455 milioni), poi Como (367 milioni), Milano (263 milioni), Brescia (136 milioni), Bergamo (111 milioni). Dopo Milano con +24% in un anno, crescono Pavia (+17%, 18 milioni), Varese (+12%, 44 milioni).

L’effetto Donald Trump frena l’export italiano

Le mosse di Donald Trump hanno un potente effetto non solo sulla politica internazionale, ma anche e sopratutto sull’economia globale. In un clima di protezionismo a favore dei prodotti a stelle e strisce, l’atteggiamento del presidente degli Stati Uniti d’America ha contribuito a frenare le esportazioni Made in Italy negli States. L’export oltreoceano ha infatti segnato una pesante battuta d’arresto, anche su prodotti tradizionalmente amatissimi dagli americani, come il vino e il food.

Esportazioni calate dell’1,1%

Il calo relativo alle esportazioni verso gli Stati Uniti è valutato nell’1,1%. Lo rivela la Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi al commercio estero ad agosto rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. “La nuova strategia USA ‘America First’ sembra avere i primi effetti dovuti ad una politica monetaria aggressiva e un atteggiamento forse più neoprotezionista nei consumi. Si tratta di un segnale preoccupante che trova conferma anche nell’andamento del vino che è il principale prodotto agroalimentare italiano esportato negli Usa” afferma la Coldiretti in una nota diffusa recentemente. Che aggiunge: “Dopo anni di crescita ininterrotta le esportazioni vinicole italiane hanno invertito la tendenza con un segno negativo e sono ammontate, a 1.497.710 ettolitri per un valore di 779 milioni di dollari e 91mila, contro 1.501.130 ettolitri, per un valore di 779 milioni di dollari e 179mila nei primi sette mesi dell’anno in corso rispetto al corrispondente periodo dello scorso anno”.

Soffre l’intero comparto agroalimentare

L’export agroalimentare italiano verso gli Stati Uniti – afferma la Coldiretti – vale complessivamente 3,8 miliardi di euro ed è costituito per la metà dai comparti del vino (1,3 miliardi, il 35% del totale) e dell’olio (circa 500 milioni, pari al 13%), ma rilevante è anche il peso delle esportazioni di formaggi e latticini (289 milioni di euro, 8% del totale), pasta (244 milioni, pari al 6%), prodotti dolciari (198 milioni, 5%) e ortofrutta trasformata (196 milioni, 5%).

Quello americano, prosegue l’associazione dei produttori, rappresenta per l’agroalimentare italiano il primo mercato di esportazione fuori dai confini comunitari per un valore che è pari al 10% del totale.

America First, per l’Italia meglio di no

Non resta che augurarsi che la politica “America First” non prosegua così come indicato da Trump durante la sua durissima campagna elettorale. Se l’atteggiamento non cambierà, per l’economia italiana si tradurrebbe in una possibile perdita fino a 1,4 miliardi di euro nelle esportazioni verso gli Stati Uniti, di cui oltre trecento milioni nel solo settore agroalimentare.

Cybercrime, per le aziende italiane rappresenta un costo di 6,7 milioni di dollari

La sicurezza informatica, e soprattutto i crimini tecnologici, hanno un costo spaventoso per le aziende di tutto il mondo. La media, calcolata a livello globale, è di 11,7 milioni di dollari. Non risulta essere una sorpresa che siano gli Stati Uniti d’America il paese più colpito dai cyber-attacchi, dove il fenomeno costa alle imprese a stelle e strisce la cifra record di 21,22 milioni di dollari, praticamente il doppio della media globale.

In Italia il fenomeno è ancora sotto controllo

Nel nostro Paese, fortunatamente, il costo del cybercrime si ferma a 6,73 milioni di dollari. Si tratta del “prezzo” più basso tra i paesi considerati nell’indagine, alle spalle solo dell’Australia (con 5,41 milioni di dollari). Le rilevazioni e i relativi costi sono il frutto di uno studio di Accenture e Ponemon Institute,  pubblicato in occasione del CyberTech Europe 2017, evento sulla sicurezza informatica.

130 violazioni all’anno per ogni azienda

I numeri sono impressionanti: la media di attacchi per ogni impresa, all’anno, raggiunge i 130. Le più colpite sono, e non stupisce, le aziende operanti nei settori dei servizi finanziari e dell’energia: per loro il costo medio annuo raggiunge rispettivamente i 18,28 e i 17,20 milioni di dollari.

Tempi sempre più lunghi per risolvere i problemi

Diverse sono le tipologie di attacchi e differenti sono i tempi necessari per risolverli. Lo studio spiega che per la risoluzione di un ransomware, ovvero quei software che rendono computer e smartphone inutilizzabili finché non si paga un riscatto, servono in media 23 giorni. Tempi decisamente più lunghi per sopravvivere agli attacchi più aggressivi, quelli con insider cattivi, per i quali possono occorrere in media 50 giorni prima della “guarigione”. Un costo enorme.

Difendersi costa caro

In Italia, così come in Francia (7,9 milioni), i costi medi sostenuti dalle aziende a causa del crimine informatico non registrano un aumento. La situazione è però molto diversa in altri Paesi del mondo, che hanno necessariamente registrato una forte crescita in termini di investimenti per proteggersi dai cybercrime. Ad esempio gli Usa sono passati da 17,36 milioni nel 2016 a 21,22 milioni del 2017. Nello stesso periodo, in Germania i costi sono saliti da 7,84 a 11,15 milioni; in Giappone da 8,39 a 10,45; nel Regno Unito da 7,21 a 8,74.

Riscatto: pagare sì o pagare no?

Nel corso dell’ultima edizione di CyberTech Europe 2017, è anche emerso che il 42% delle Piccole e medie imprese italiane ha avuto a che fare con il ransonmware. E ben un’azienda su tre (32%) ha deciso di pagare il riscatto, anche se poi non tutte sono ritornate in possesso dei propri dati.