Italia, l’ecommerce penalizzato dai ritardi tecnologici

Quanto vale l’ecommerce a livello mondiale? Tanti, anzi tantissimo: il mercato online B2C vale globalmente 4.280 miliardi di dollari e raggiungerà quota 4.891 miliardi nel corso del 2021. Il “peso” dello shopping online, in tutti i settori, è cresciuto sensibilmente negli ultimi mesi, quando l’emergenza pandemica ha spinto anche nuove fasce della popolazione ad avvicinarsi a questa modalità d’acquisto. E il trend, nonostante le cose – a livello sanitario – stiano tornando alla normalità, non accenna certo a spegnersi. D’altronde comprare on line è comodo e oggi anche sicuro. In questo scenario, come si posiziona l’Italia nel panorama dei Paesi che hanno scommesso sull’e-commerce? Purtroppo potrebbe fare meglio, come rivela una indagine condotta da Timotico, società di comunicazione integrata. 

Gli aspetti che non funzionano nel nostro Paese

Le premesse affinchè in Italia il comparto dell’ecommerce sia veramente dinamico ci potrebbero essere, ma esistono ancora delle difficoltà oggettive, specie legate ai ritardi nell’adozione di tecnologia all’avanguardia e nell’utilizzo strategico del content marketing. “Ci sono aziende – afferma con un comunicato Federica Argentieri, ad e fondatrice di Timotico – anche molto affermate da generazioni che si trovano in crisi dal momento che la concorrenza online gli sta rubando grossissime fette di mercato”. L’80% delle Pmi afferma nell’indagine di avere un proprio sito web, “ma sono poche quelle con siti ottimizzati, performanti anche su mobile e costantemente aggiornati. E questo nonostante il fatto che 50 milioni di italiani siano connessi ogni giorno”.

No ai contenuti esclusivamente promozionali

“Un errore frequente da parte delle aziende – dice ancora la Argentieri – è di pubblicare sui social solo contenuti promozionali che, alla lunga, non fanno che stancare il pubblico, con la conseguente penalizzazione da parte della piattaforma”. Tutto, insomma, ruota attorno alla costruzione di una narrativa. “È fondamentale, come emerge dall’indagine, alternare contenuti diversi e arricchirli con informazioni utili e di intrattenimento per le persone, in una proporzione del ’70/30′: 70% di contenuti reputazionali, ispirazionali, informativi e che coinvolgano sempre di più l’audience e 30% di contenuti destinati alla vendita pura”. Insomma, conclude l’indagine, l’improvvisazione non paga nella vita reale come nel web: per questo è opportuno affidarsi a chi ha le capacità di fare content marketing, adottando un piano d’azione per la produzione e distribuzione di contenuti testuali, audio-video, foto e grafiche su siti web, blog, ecommerce e social che sia coerente con il brand aziendale.