Mese: Aprile 2022

I consumatori amano le etichette “senza”

In questi ultimi tempi, i consumatori preferiscono il “senza” piuttosto che il”con”. E addirittura quella mancanza sull’etichetta dei generi alimentari, il famoso senza appunto, diventa un elemento deduttivo e vincente rispetto ai prodotti  convenzionali. In questo scenario, l’appeal dell’etichetta ‘senza’ può spingere i cittadini a puntare su alimenti nei quali l’ingrediente ‘mancante’ è incongruente o addirittura salutare.

Come riporta Adnkronos, sono questi i risultati di uno studio sperimentale dell’EngageMinds Hub, Centro di ricerca in psicologia dei consumi dell’Università Cattolica di Cremona, condotto nelle scorse settimane con il contributo non condizionante dell’Unione italiana olio di palma sostenibile, sui consumi ‘free from’, con un particolare focus sull’olio di palma. 

Un plus di qualità percepito

Lo studio ha previsto anche degli esempi pratici. Ad esempio, posti di fronte al packaging di un cracker salato e di una merendina dolce, entrambi immaginari e creati per l’esperimento, il 38% dei consumatori coinvolti ha indicato come di particolare qualità la versione convenzionale. Ma quando al campione di cittadini sono stati sottoposti gli stessi prodotti con etichette ‘senza’, le cose sono cambiate. Il 45% considera di particolare qualità il prodotto ‘senza olio di girasole’; una quota che sale al 51% se ‘senza olio di palma’. Ma attenzione: il 48% dei consumatori ritiene di qualità il (fittizio) prodotto ‘senza CO2’ e il 48% attribuisce qualità al ‘senza grassi polinsaturi’ (nonostante essi siano benefici per la salute).

“Sono molti gli elementi che ci impongono una riflessione su questi risultati – spiega la professoressa Guendalina Graffigna, ordinario di psicologia dei consumi e direttore dell’EngageMinds Hub. Innanzitutto, “emerge che a tutti i prodotti ‘senza’ il consumatore attribuisce un plus di qualità percepita rispetto al prodotto connotato come convenzionale. In secondo luogo, è da rilevare come il claim ‘senza olio di palma’ venga apprezzato più degli altri e questo, probabilmente, è conseguenza della maggior stigmatizzazione mediatica che questo ingrediente ha subito negli ultimi anni”. Addirittura, specifica l’esperto, “è da rimarcare come molti cittadini vedano una maggior qualità in un prodotto senza CO2, un ingrediente inventato a solo fine sperimentale, e addirittura in alimenti senza quei grassi polinsaturi che, al contrario, da anni sia la letteratura scientifica che la divulgazione mediatica indicano come fattori promotori della salute. E questo, anche al netto di carenze di literacy in campo alimentare, la dice lunga sull’impatto emotivo e psicologico del fattore ‘senza’ al di là della considerazione razionale dell’ingrediente in questione”.

Psicologia dei consumi

Gli stessi atteggiamenti vengono rilevati anche considerando gli aspetti legati alla sostenibilità ambientale degli alimenti. Più della metà degli italiani (52%) ritiene i prodotti ‘senza olio di palma’ più sostenibili dei convenzionali. Mentre una frazione minore ma sempre molto elevata (47%) vede più sostenibili i prodotti ‘senza olio di girasole’. Elevata anche la quota di consumatori che indica come più rispettosi dell’ambiente i cibi ‘senza CO2’, probabilmente per una connessione inesistente sul piano fattuale ma pregnante dal punto di vista psicologico, trattandosi di un immaginario ingrediente alimentare, tra anidride carbonica e sostenibilità ambientale. Infine, il 44% propone i prodotti ‘senza grassi polinsaturi’ quali più rispettosi dell’ambiente.

“E’ importante sottolineare che questi risultati sono frutto di un esperimento di psicologia dei consumi”, sottolinea la professoressa Guendalina Graffigna. L’etichetta ‘senza’ “determina una forte distorsione cognitiva nella valutazione dei prodotti alimentari. Tanto che induce i consumatori a pensare che quel prodotto sia anche di maggiore qualità, più salutare e più rispettoso dell’ambiente indipendentemente dal tipo di ingrediente eliminato poiché ciò che guida la valutazione è l’etichetta ‘senza’ e non l’ingrediente escluso. Come EngageMinds Hub – conclude Graffigna – ci occupiamo da anni di queste tematiche, un lavoro che stiamo sviluppando grazie al laboratorio di psicologia dei consumi nel nuovo campus dell’Università Cattolica di Cremona”.

Con la pandemia le persone sono diventate più sole?

I dati relativi alle condizioni psicologiche durante gli ultimi due anni all’insegna della pandemia attestano come le persone siano alle prese con un sostanziale incremento della solitudine. I dati, pubblicati su American Psychologist, sono stati rilevati intervistando oltre 200 mila persone di età differenti, provenienti da ogni angolo del globo. Alcuni soggetti hanno modificato i parametri in misura sensibile, poiché la loro sensazione di solitudine è molto evidente. In tali casi, il vuoto è cresciuto in maniera esponenziale, con un calo sostanziale della felicità. Altri, invece, non hanno segnalato alcun cambiamento nella loro quotidianità.

Cosa fare per evitare che la situazione peggiori?

Nonostante le risposte variegate provenienti da diversi gruppi di persone, i ricercatori hanno riscontrato la presenza di un aumento della solitudine. I dati raccolti sono però ancora insufficienti per accertare la correlazione tra l’aumento della solitudine e le restrizioni dovute alla pandemia.
Alcune ricerche effettuate già prima della pandemia avevano riscontrato come la capacità umana nelle relazioni sociali sia stata ampiamente compromessa da fattori che non hanno nulla a che fare con ciò che è accaduto negli ultimi due anni. Ma cosa si può fare per evitare che la situazione possa peggiorare? È sufficiente seguire alcune raccomandazioni fatte dagli esperti del portale psicologionline.net per migliorare la connessione tra le persone e sentirsi meno soli.

Assumere una cultura all’insegna dell’interconnessione

“Ognuno di noi ha la possibilità di costruire comunità più sensibili ed empatiche in maniera reciproca – spiegano gli esperti del portale -. Per riuscirci, bisogna assumere una cultura all’insegna dell’interconnessione, in grado di creare momenti significativi e tutti da ricordare. Ritornare ad avere la capacità di acquisire rapporti nella vita quotidiana che siano attenti a ogni esigenza personale – aggiungono gli esperti -. Anche nelle scuole chi vuole può ottenere notevoli risultati, cercando di far stringere rapporti più sereni e consapevoli tra i singoli studenti. Ogni insegnante dovrebbe rendere i rapporti tra i ragazzi come una vera priorità – sottolineano gli esperti -. Un discorso analogo è valido per quanto concerne i singoli cittadini. In questo caso, si può pensare ad appositi spazi condivisi, nei quali le persone possono ritrovarsi e coinvolgere la comunità”.

Porsi più dolcemente verso il prossimo può fare la differenza

“Parlando del posto di lavoro, i datori e i dirigenti dovrebbero iniziare a pensare in maniera intensiva al benessere psicologico dei loro dipendenti – continuano gli esperti -. Ad esempio, possono premiare i dipendenti capaci di soccorrere i colleghi in difficoltà, o comunque importanti per il rafforzamento di un team aziendale. I manager possono favorire le giuste condizioni per dar vita a un posto di lavoro dalla maggiore connessione fisica, semplificando i rapporti tra dipendenti e collaboratori”.
Insomma, sta a noi compiere alcuni piccoli passi, giorno dopo giorno, nella direzione giusta. Porsi più dolcemente verso il prossimo può fare la differenza. In questo modo, riusciremo a invertire questo trend negativo.

Scuola, alle superiori fioccano le insufficienze 

Al termine del primo quadrimestre sono quasi 2 studenti delle superiori su 5 a non aver raggiunto il 6 in almeno una materia, e complessivamente 1 su 7 ha collezionato almeno tre insufficienze. Insomma, sugli studenti delle superiori piovono brutti voti. A segnalarlo è una ricerca condotta da Skuola.net – Ripetizioni.it su un campione di 2.600 studenti di licei, istituti tecnici e professionali. A ulteriore conferma del cambio di passo registrato negli ultimi mesi un’altra circostanza viene evidenziata dalle ragazze e dai ragazzi risultati insufficienti al primo giro di boa dell’anno scolastico. Per il 45% i problemi si sono manifestati proprio da settembre a oggi, e per il 27% si tratta di difficoltà che affondano le radici già prima della pandemia. Il 29% poi afferma che le lacune presenti sono l’eredità del biennio passato alle prese con la didattica a distanza.

Per il recupero ci si affida alle lezioni private

La maggior parte delle scuole ha comunque offerto corsi di recupero per chi ne aveva bisogno, e solo 1 studente su 4 ne ‘denuncia’ l’assenza. Tuttavia, la metà degli studenti ha preferito declinare l’invito per rivolgersi al supporto personalizzato sotto forma di ripetizioni. Tra chi ha avuto la brutta sorpresa in pagella, il 39% si è infatti affidato a un docente privato. C’è chi lo ha fatto anche prima della ‘sentenza’ (26%) e chi ha iniziato subito dopo o lo farà a breve (6%), e chi si è fatto affiancare ma ha smesso dopo aver raddrizzato la situazione (7%). A questi vanno aggiunti quelli (27%) che hanno preferito farsi aiutare gratuitamente da parenti o conoscenti.

Le ripetizioni pesano sul bilancio delle famiglie

Anche tra chi ha superato indenne il primo quadrimestre sono però in tanti quelli che hanno voluto arrivare con maggiori sicurezze alla seconda parte dell’anno, 1 su 6. Il motivo? Principalmente per consolidare i propri voti, puntando ancora più in alto. Stando a quanto raccontano i ragazzi, quest’anno la stima di spesa per le ripetizioni si aggira mediamente sui 400 euro a famiglia. I budget investiti sono però molto diversificati: per il 16% la spesa annua stimata è inferiore a 100 euro, per il 50% è una somma compresa tra 100 e 400 euro, e il 34% si proietta a cifre che superano i 2000 euro.

Le materie più richieste 

Ciò che invece non si è modificato rispetto allo scorso biennio è l’elenco delle materie su cui gli studenti vanno più in difficoltà. Al primo posto regna incontrastata la matematica, spina nel fianco per i due terzi (65%) dei ragazzi che recentemente si sono rivolti alle ripetizioni.
Seguono le altre materie scientifiche, messe nella lista dal 34% degli intervistati, e al terzo posto le lingue antiche (latino e greco), per le quali ha chiesto supporto il 28% degli alunni. Ai piedi del podio le lingue straniere, rinfrescate dal 22% sul totale di chi usufruisce delle ripetizioni.