Milano, Monza Brianza e Lodi: positiva la congiuntura dell’industria nel terzo trimestre 2021

L’industria dell’area lombarda di Milano, Monza Brianza e Lodi può finalmente vedere “rosa”: grazie alle ottime performance del settore, sono stati non solo recuperati ma addirittura superati i livelli del pre lockdown. A decretarlo sono le ultime elaborazioni del Servizio Studi della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi. In generale, dai emerge che crescono produzione, fatturato e ordini: la rilevazioni sono state fatte confrontando i dati del terzo trimestre del 2021 con l’analogo periodo del 2019, così da evitare i possibili effetti distorsivi imputabili alle chiusure. A livello congiunturale – rispetto al secondo trimestre 2021 – crescono l’area metropolitana milanese e brianzola, mentre si registra un calo per la provincia di Lodi. Permangono tra i segnali negativi le difficoltà di approvvigionamento sui mercati che riflettono – attraverso l’incremento dei prezzi – il disallineamento tra crescita della domanda e rigidità dell’offerta.

Bene Milano 

Per quanto riguarda la metropoli, nel terzo trimestre 2021 si registra un aumento congiunturale rispetto al secondo trimestre 2021 della produzione industriale e del fatturato milanese (+1,3% e +1% destagionalizzato), inferiori al dato lombardo (rispettivamente +2,5% e +1,9% destagionalizzato). Per gli ordini, la progressione congiunturale è invece molto più marcata per l’industria milanese rispetto alla manifattura regionale sia per il mercato interno (rispettivamente +5,3% e +3% destagionalizzato) che estero (+4,7% e+1,3% destagionalizzato). Passando all’analisi tendenziale, il terzo trimestre 2021 ha consentito all’area metropolitana milanese – con riferimento alla produzione – di superare il livello pre-pandemia del terzo trimestre 2019 (+6,6% in due anni). Se si considera la crescita netta del fatturato, sempre raffrontata al terzo trimestre 2019, l’aumento è del +10,5%. In relazione al portafoglio ordini, si registra un livello superiore a quello relativo al terzo trimestre 2019 (+16,6% in due anni), con performance migliore della manifattura lombarda (+13,3%). I mercati interni hanno ripreso la crescita in modo molto più incisivo (+17,9%) rispetto alla componente estera (+14,2%).

Monza e Brianza, prosegue la crescita congiunturale

Nel territorio di Monza e Brianza il terzo trimestre 2021 vede un un aumento consistente rispetto al secondo trimestre 2021 sia della produzione industriale (+1,8% destagionalizzato) sia del fatturato (+3% destagionalizzato) che delle commesse acquisite dai mercati interni (+2,4% destagionalizzato). La crescita tendenziale della capacità produttiva colloca i volumi prodotti a un livello superiore rispetto al terzo trimestre 2019 prepandemia (+5,6%) in linea con il dato lombardo (+6,2%). Nello stesso periodo, i dati della manifattura brianzola per fatturato (+11,2%) si allineano al dato lombardo (+12,3%). Sempre rispetto al terzo trimestre 2019, il portafoglio ordini del manifatturiero brianzolo evidenzia un incremento reale in linea con quanto registrato in Lombardia (rispettivamente +12,8% e +13,3%).

Migliorano le attese delle famiglie e la propensione alla spesa

Le attese delle famiglie sull’economia italiana stanno migliorando, così come la propensione alla spesa. Ma fra i nuclei meno abbienti permane una certa cautela. Per la Banca d’Italia “Il saldo tra attese di miglioramento e peggioramento della situazione economica e del lavoro è positivo per la prima volta da primavera 2020”, e le famiglie che prefigurano un peggioramento sono calate di oltre il 10%. A quanto rileva l’indagine sulla propensione alla spesa delle famiglie italiane di Bankitalia, “la propensione a spendere nei comparti più colpiti tra cui alberghi, bar e ristoranti”, è in ripresa, ma “nelle prospettive di spesa, soprattutto tra i meno abbienti,” vi è cautela.

In progressivo miglioramento i comportamenti di consumo

Dall’indagine, compiuta fra fine agosto e inizio settembre su 2000 nuclei familiari, emerge come circa un terzo delle famiglie affermi di essere riuscito ad accantonare qualche risparmio a partire dall’inizio della pandemia, e la quota è più ampia per i nuclei il cui capofamiglia è laureato. E la percentuale di famiglie che ritiene di riuscire a risparmiare nei prossimi dodici mesi è rimasta sostanzialmente stabile al 44%.
“I comportamenti di consumo restano condizionati dall’emergenza sanitaria, ma appaiono in progressivo miglioramento – si legge nel rapporto di Bankitalia -. Rispetto alla rilevazione di aprile la percentuale di famiglie che dichiarano di avere ridotto le spese per alberghi, bar e ristoranti nel confronto con il periodo pre-pandemia è diminuita di 15 punti percentuali, pur restando elevata al 71%”. Durante le fasi più acute della pandemia questa quota aveva toccato quasi il 90%.

Rimane invariata l’importanza attribuita alla paura del contagio 

Secondo Bankitalia, tra le motivazioni che hanno frenato la spesa “è rimasta invariata l’importanza attribuita alla paura del contagio, ed è sensibilmente diminuita quella associata alle misure di contenimento, in connessione con il venire meno delle restrizioni a partire dalla primavera. Permane tuttavia una certa cautela nelle attese di spesa a tre mesi, in particolare tra le famiglie con maggiori difficoltà economiche e tra quelle che nel mese precedente l’intervista hanno percepito un reddito più basso rispetto a prima della pandemia”.

In crescita i prezzi delle abitazioni

Inoltre, riporta Ansa, da quanto emerge dal sondaggio congiunturale della Banca d’Italia condotta presso gli agenti immobiliari dal 27 settembre al 22 ottobre 2021, si rafforzano “i segnali di pressioni al rialzo sui prezzi di vendita” delle abitazioni, e “per la prima volta dall’inizio della rilevazione nel 2009, la quota di operatori che ravvisa un aumento delle quotazioni nel terzo trimestre rispetto al precedente è superiore, seppur lievemente, a quella di chi ne indica un calo”. Inoltre, sono divenute prevalenti anche le attese di crescita delle quotazioni nel trimestre in corso rispetto alle aspettative di un calo dei listini.

Multicanalità, l’88% degli italiani nel 2021 sceglie il digitale

Secondo la ricerca del’Osservatorio Multicanalità, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e da NielsenIQ, nel 2021 gli utenti che usano i servizi di e-commerce, o per i quali il digitale ha un ruolo nel proprio percorso di acquisto, sono 46,1 milioni, pari all’88% della popolazione italiana con più di 14 anni. A crescere sono sia gli utenti più evoluti (+17,9%), coloro che utilizzano la rete ovunque, hanno maggiore familiarità con social media e pagamenti digitali, e sono anche i più attenti ai consigli degli influencer (+24,6%), sia i Digital Engaged, (+13,6%), ovvero gli utenti molto disinvolti nell’uso dei canali online, soprattutto da smartphone, ma più legati al negozio fisico.

Sempre più online, dalla scoperta del brand alla fase di ‘conversione’

I canali digitali sono sempre più presenti in tutte le fasi del percorso di acquisto del consumatore, dalla scoperta del brand alla fase di ‘conversione’. Nell’ultimo anno il 69% degli utenti Internet è venuto a conoscenza di nuovi brand online, e il 76% ha usato la rete per confrontare marche di prodotti o servizi che vorrebbe acquistare.  Oltre a una presenza sui canali digitali costante e coerente con i valori della marca, per i brand diventa sempre più importante l’attenzione alle tematiche etiche e sociali per attrarre i consumatori: il 73% della popolazione sopra i 14 anni valuta positivamente i marchi che prendono posizione su questi temi e il 57% li premia nelle proprie scelte di acquisto.

Il comportamento multicanale varia in base ai settori merceologici

Il comportamento multicanale dei consumatori varia in base alla categoria merceologica. Il primo settore per utenti digitali è quello dei Viaggi, con il 71% dei consumatori che si informa prevalentemente in rete sui prodotti e il 43% che acquista esclusivamente online, seguito da Elettronica/Informatica (70% e 14%), Assicurazioni (46% e 23%), Abbigliamento (34% e 4%), Beauty (35% e 3%).  Il settore Farmaci e Integratori è tra i meno interessati dalla ricerca di informazioni e acquisti in rete: solo il 29% dei consumatori si informa prevalentemente online sui prodotti e solo il 3% acquista esclusivamente online. Nel Largo Consumo, poi, se il 29% dei consumatori ricerca informazioni prevalentemente online sui prodotti soltanto il 2% compra esclusivamente in rete.

Le motivazioni che spingono a fare acquisti sul web

La principale motivazione che spinge gli Internet User del settore Viaggi ad acquistare un viaggio in rete è l’ampia possibilità di confronto, poi la facoltà di comprare H24 e il prezzo competitivo. Per gli acquirenti online di Elettronica/Informatica la prima ragione d’acquisto è la possibilità di confrontare i prodotti, mentre per le Assicurazioni è il prezzo spesso più favorevole. Per l’Abbigliamento la motivazione principale è invece la possibilità di comprare H24, e per il Beauty la comodità della consegna a domicilio, la medesima degli utenti che scelgono di acquistare online beni di Largo Consumo.

Gli Italiani e il risparmio: cosa è cambiato con la pandemia?

In occasione della 97° Giornata Mondiale del Risparmio Acri-Ipsos ha presentato la 21° edizione dell’indagine dal titolo Gli Italiani e il Risparmio, che delinea il livello di soddisfazione per la propria situazione economica e il proprio tenore di vita, l’atteggiamento e la propensione verso il risparmio, evidenziando i cambiamenti rispetto all’anno passato. Il peggio sembra essere passato, e la minaccia del Covid, per quanto ancora presente, si è ridotta, inducendo il 54% degli italiani a pensare l’emergenza sanitaria sia prossima alla fine. E questo induce ad ampliare le proprie prospettive economiche verso un orizzonte a medio termine.

Il 45% è riuscito ad accumulare risparmi negli ultimi 12 mesi

L’indagine conferma l’evidenza colta lo scorso anno: accanto a una quota di italiani in grado di resistere alle difficoltà (38%), con una situazione economica in miglioramento (13%), persiste una quota non trascurabile, e in crescita, che ha esaurito o è prossima a esaurire le risorse a propria disposizione, sottolineando gravi mancanze (49% vs. 47% nel 2020). Rimane però molto alta la percentuale di italiani che sono riusciti ad accumulare risparmi negli ultimi 12 mesi, e che lo hanno fatto con tranquillità (45%) guardando soprattutto al futuro. Al contempo, rispetto al 2020 è tornato a risalire il numero di famiglie che ha fatto ricorso a risorse proprie o a prestiti (19% vs. 16% nel 2020), descrivendo una situazione che ha portato ad associare il risparmio a un senso di sacrificio.

Si intravedono prospettive di miglioramento

Rispetto al 2020 gli aiuti europei e il PNRR, e la fiducia nel Governo e nel suo operato portano il 40% degli italiani a intravedere prospettive di miglioramento nei prossimi anni. Il cambio di scenario contribuisce a far maturare la consapevolezza del legame esistente tra risparmio privato e rafforzamento del senso di compartecipazione allo sviluppo sociale e civile (fondamentale per il 79% degli italiani vs. 77% nel 2020). Le direttrici lungo cui agire per rendere proficuo questo legame sono la formazione, attraverso cui dare spazio e creare occasioni per la realizzazione professionale dei giovani e per riqualificare i lavoratori (61%,), il welfare, per sostenere le fasce più deboli della popolazione (62%), e la competitività, che non può prescindere da un percorso dettato dalla transizione ecologica verso modelli di sviluppo sostenibili (64%).

L’uscita dall’emergenza sanitaria rischia di allargare la forbice

È quindi forte e condivisa la necessità di un modello inclusivo che ‘non lasci indietro nessuno’ nel recupero sociale. L’uscita dall’emergenza sanitaria rischia infatti di allargare la forbice tra chi sta meglio e chi invece è in difficoltà. In questo contesto, cresce l’interesse per il ruolo del non profit (per il 53% è fondamentale o importante), e più in generale, dei corpi intermedi (per il 39% è fondamentale o importante), che aiutano a intercettare le criticità e a trovare soluzioni per affrontare i problemi di oggi e scongiurare quelli che verranno.

Italia, l’ecommerce penalizzato dai ritardi tecnologici

Quanto vale l’ecommerce a livello mondiale? Tanti, anzi tantissimo: il mercato online B2C vale globalmente 4.280 miliardi di dollari e raggiungerà quota 4.891 miliardi nel corso del 2021. Il “peso” dello shopping online, in tutti i settori, è cresciuto sensibilmente negli ultimi mesi, quando l’emergenza pandemica ha spinto anche nuove fasce della popolazione ad avvicinarsi a questa modalità d’acquisto. E il trend, nonostante le cose – a livello sanitario – stiano tornando alla normalità, non accenna certo a spegnersi. D’altronde comprare on line è comodo e oggi anche sicuro. In questo scenario, come si posiziona l’Italia nel panorama dei Paesi che hanno scommesso sull’e-commerce? Purtroppo potrebbe fare meglio, come rivela una indagine condotta da Timotico, società di comunicazione integrata. 

Gli aspetti che non funzionano nel nostro Paese

Le premesse affinchè in Italia il comparto dell’ecommerce sia veramente dinamico ci potrebbero essere, ma esistono ancora delle difficoltà oggettive, specie legate ai ritardi nell’adozione di tecnologia all’avanguardia e nell’utilizzo strategico del content marketing. “Ci sono aziende – afferma con un comunicato Federica Argentieri, ad e fondatrice di Timotico – anche molto affermate da generazioni che si trovano in crisi dal momento che la concorrenza online gli sta rubando grossissime fette di mercato”. L’80% delle Pmi afferma nell’indagine di avere un proprio sito web, “ma sono poche quelle con siti ottimizzati, performanti anche su mobile e costantemente aggiornati. E questo nonostante il fatto che 50 milioni di italiani siano connessi ogni giorno”.

No ai contenuti esclusivamente promozionali

“Un errore frequente da parte delle aziende – dice ancora la Argentieri – è di pubblicare sui social solo contenuti promozionali che, alla lunga, non fanno che stancare il pubblico, con la conseguente penalizzazione da parte della piattaforma”. Tutto, insomma, ruota attorno alla costruzione di una narrativa. “È fondamentale, come emerge dall’indagine, alternare contenuti diversi e arricchirli con informazioni utili e di intrattenimento per le persone, in una proporzione del ’70/30′: 70% di contenuti reputazionali, ispirazionali, informativi e che coinvolgano sempre di più l’audience e 30% di contenuti destinati alla vendita pura”. Insomma, conclude l’indagine, l’improvvisazione non paga nella vita reale come nel web: per questo è opportuno affidarsi a chi ha le capacità di fare content marketing, adottando un piano d’azione per la produzione e distribuzione di contenuti testuali, audio-video, foto e grafiche su siti web, blog, ecommerce e social che sia coerente con il brand aziendale.

Caffè, un piacere della vita e un punto di forza del Made in Italy

Il caffè è un piacere della vita, un rito irrinunciabile e un’eccellenza del Made in Italy. La seconda edizione dell’indagine Gli italiani e il caffè, condotta da AstraRicerche per conto del Consorzio Promozione Caffè, lo conferma. Tanto che per il 72,5% degli intervistati il caffè è proprio uno dei piaceri della vita, mentre per oltre il 75%, un punto di forza del Made in Italy. Il 97% degli intervistati afferma poi di bere abitualmente caffè o bevande a base di caffè, e per oltre la metà (54%) il consumo è di tre o più tazzine al giorno, con un aumento significativo nella fascia 18-35 anni. E pur continuando a essere un momento di relax (75%), il caffè è sempre più apprezzato per le sue qualità “energizzanti”. Oltre ad aiutare la concentrazione e il risveglio (73,3%), la tazzina rappresenta per molti il vero inizio della giornata (40,8%), e il modo ideale per ritrovare la carica e la voglia di fare (39%).

Su 100 tazzine, 57 sono consumate a casa. Ma torna la voglia di gustarlo al bar

La casa si conferma il luogo più amato per bere il caffè: su 100 caffè, 57 sono consumati tra le mura domestiche. Ma è tornata più forte di prima anche la voglia di bere un caffè al bar, luogo di chiacchierare (26,1%), rito mattutino (31,5%), e un modo per sostenere l’economia e i piccoli esercenti (41%). E se gli italiani stanno tornando con fiducia al bar, il 29,8% dichiara di aver bevuto più caffè al bar nei mesi di giugno e luglio, e il 21,3% afferma di esserci andato più spesso rispetto al periodo pre-Covid.

Capsule e cialde vincono sulla moka

Se un terzo degli italiani sceglie la moka per preparare il caffè (31,5%, -5,7% rispetto al 2020), capsule e cialde sono preferite dal 43% (+3,6% rispetto al 2020). I motivi di tanto successo? Sono comode da preparare (77%), hanno un ottimo gusto (62%), e per un italiano su due hanno un giusto rapporto qualità prezzo. A sceglierle sono soprattutto gli intervistati tra i 45 e i 55 anni, mentre la moka continua a esercitare un grande fascino tra le donne e gli over 55. Gli italiani hanno poi iniziato a sperimentare l’e-commerce anche per il caffè. Più di due consumatori su tre (69,6%) hanno fatto acquisti sia sui grandi marketplace sia sugli e-store specializzati, o attraverso il servizio della ‘spesa a casa’. 

Tutti i benefici in termini di salute e benessere

“Una vasta letteratura evidenzia i numerosi benefici associati a un moderato consumo di caffè su importanti aspetti della fisiologia umana – dichiara il professor Luca Piretta, Nutrizionista e Gastroenterologo dell’Università Campus Bio-Medico di Roma – dalla memoria alla concentrazione, dalla performance fisica al rallentamento del fisiologico declino cognitivo legato all’età, dalla riduzione del rischio di malattie neurodegenerative, come il morbo di Alzheimer e la malattia di Parkinson, a una forte azione preventiva e protettiva nei confronti del diabete di tipo 2 e di alcune malattie del fegato”.

E-commerce dal cellulare: cresce l’uso del mobile per gli acquisti online

“Le persone sono sempre più connesse tramite smartphone e tablet e lo dimostra il fatto che il canale mobile si sia consolidato negli ultimi 4 anni, con una costante ascesa, passando dal 41% del 2018 al 51% nel 2021”, spiega Gloria Ferrante, Marketing Manager Italia di PayPlug. L’e-commerce continua a crescere, e anche nel periodo post pandemia gli acquisti online si fanno sempre più col telefonino.  Più di un acquisto online su due, infatti, ormai viene effettuato tramite dispositivo mobile, soprattutto durante il fine settimana, in estate e nel corso del Black Friday. In particolare, il cellulare si utilizza soprattutto per lo shopping di prodotti cosmetici e di abbigliamento. È quanto emerge da una ricerca condotta da PayPlug, la soluzione di pagamento online pensata e concepita al 100% per le Pmi. 

Cresce il valore medio del carrello su smartphone

Si tratta di un andamento che rispecchia i dati diffusi dall’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano, secondo i quali con 15,65 miliardi di euro il mondo smartphone rappresenta il 51% del totale del mondo e-commerce. Ma a consolidarsi è anche il valore medio del carrello su mobile, sempre più spesso superiore ai 75 euro. Questo avviene nel 39% dei casi, una percentuale cresciuta di ben 7 punti dal 2019 (32%), e che sottolinea da parte dei consumatori la grande fiducia e usabilità del mezzo.

Cosmesi e abbigliamento i settori top per lo shopping dal telefonino

Da quanto rileva la ricerca di PayPlug i settori in cui lo shopping da mobile conquista maggiormente i consumatori sono due, quello della cosmesi (55%) e dell’abbigliamento (53%). Ma a spingere gli acquisti da mobile è anche il commercio ‘conversazionale’, ovvero l’atto di vendere prodotti e servizi intrattenendo una conversazione personalizzata con i propri clienti. In particolare, tramite sms, e-mail, oppure tramite applicazioni di messaggistica e chatbot.

Le vendite si concludono con un sms

Secondo la ricerca di PayPlug, tra gennaio e maggio 2021 il 15% dei commercianti ha infatti concluso vendite via sms utilizzando i link di pagamento. Una percentuale di quattro punti superiore rispetto all’11% dello stesso periodo del 2020 Di fatto, i commercianti hanno concluso le vendite inviando sms, e-mail, applicazioni di messaggistica, oppure re-indirizzano il cliente a una pagina di pagamento sicura. In questo modo dal proprio smartphone il cliente ha potuto inserire i dati per il pagamento, e convalidare l’ordine in modo semplice e veloce.

Gli italiani cambiano 5 automobili nel corso della vita

In media gli italiani sostituiscono la propria auto ogni 7 anni e mezzo. In pratica, nell’arco della propria vita acquistano un numero pari a 5 vetture. È quanto ha scoperto un’indagine commissionata da Facile.it e MiaCar agli istituti di ricerca mUp Research e Norstat. A livello nazionale la ricerca ha messo in luce che il 15% degli automobilisti cambia l’auto ogni 5-6 anni e il 12,5% ogni 7-8 anni. Inoltre, il 5,3% degli automobilisti dichiara di sostituire la propria vettura con maggior frequenza, ovvero, al massimo ogni 2 anni, mentre il 19% lo fa non prima che siano trascorsi almeno 10 anni.

Gli uomini cambiano l’auto con più frequenza delle donne

I dati però variano a seconda del genere e dell’area geografica di residenza. Gli uomini, ad esempio, cambiano l’auto ogni 6 anni e mezzo, più frequentemente rispetto alle donne, che invece tendono a sostituire il proprio veicolo solo dopo 8 anni e mezzo. A livello territoriale, invece, emerge che gli automobilisti residenti nel Nord Italia cambiano l’auto più spesso, in media, prima del suo settimo compleanno, mentre al Sud e nelle Isole ogni 7 anni e mezzo, e nel Centro Italia addirittura ogni 8 anni e 3 mesi. 

Perché si sostituisce l’automobile?

In generale, la prima ragione che spinge gli italiani ad acquistare un nuovo modello è l’età del mezzo. Il 55% dei rispondenti dichiara infatti di cambiare la propria auto solo quando questa diventa vecchia. Il 36% degli intervistati, invece, spiega di aver sostituito l’auto perché la precedente aveva fatto troppi chilometri, mentre il 25,6% perché non era più adatta alle esigenze familiari.  E se il 17,6% ha dovuto comprare un nuovo veicolo perché il precedente si era danneggiato a causa di un sinistro, non mancano coloro che cambiano l’auto abitualmente solo dopo pochi anni perché vogliono guidare un mezzo sempre nuovo (10,8%).

La prima auto si acquista a 26 anni e mezzo

Se è vero che la patente di guida si prende normalmente intorno ai 20 anni, e che all’inizio molti utilizzano un veicolo di famiglia, per l’acquisto della prima auto gli italiani attendono, in media, fino a 26 anni e mezzo. Sebbene non vi siano differenze significative tra uomini e donne l’età varia in modo più marcato a livello territoriale. Nel Nord la prima vettura si acquista a 25 anni, nel Centro dopo i 26 anni e al Sud e nelle Isole addirittura solo dopo il 27 anni. In media, poi, questo veicolo lo si cambia dopo 8 anni e mezzo, con differenze tra uomini e donne. I primi cambiano la prima auto, in media, dopo 7 anni e 4 mesi, mentre le donne solo dopo quasi 10 anni.  A livello geografico, invece, la prima auto dura più nel Centro Italia (9 anni e 8 mesi) e al Sud e nelle Isole (poco più di 8 anni e 7 mesi), mentre nel Nord viene sostituita, in media, prima degli 8 anni di età.

Wellness e nuova normalità, i sei cambiamenti post-pandemia

La pandemia ci ha profondamente cambiati, e nella fase della cosiddetta nuova normalità, anche nel campo del wellness si assisterà a un nuovo modo di prendersi cura del proprio benessere fisico e mentale. Ma torneremo o no in palestra? Dimenticheremo i rischi e i moniti dei medici per ritornare in forma come prima? Secondo il report globale The Next Normal 2030 a cura di McKinsey, saremo sempre più attenti al nostro benessere e alla forma fisica, ma in maniera più ‘olistica’. In pratica, dopo la pandemia saremo più interessati a sei aspetti particolari relativi al benessere, ovvero salute, fitness, alimentazione, look, metodi per dormire e per rilassarsi.

Nuovi trattamenti beauty, tecniche per rilassarsi e facilitare il sonno, anche hitech

Entro il 2030 assisteremo a un boom di servizi estetici,dalle punturine anti rughe rimpolpanti ai trattamenti clinici come dermoabrasione, tatuaggi e trucco personalizzato. Tutto però in nuove location: gli ambulatori medici diventeranno profumerie e le profumerie centri di medicina estetica. La ricerca della consapevolezza, attraverso tecniche di mindfulness, diventerà poi un aspetto essenziale delle nostre vite. Il fenomeno è destinato a crescere e la tecnologia e i dispositivi elettronici indossabili faranno la parte del leone. La pandemia ha però anche accentuato l’ansia, e se non sorprende il boom dei prodotti per facilitare il riposo, e i dispositivi hitech per migliorare il sonno, tramite la musica o massaggi rilassanti, profumi per aromaterapia e altro.

Fitness in casa con l’istruttore influencer, e più attenzione alle etichette

Dopo la casa e l’ufficio alle palestre spetterà l’appellativo di ‘terzo luogo’. Entro il 2030 ci torneremo, ma in modo nuovo: le soluzioni casalinghe del fitness andranno per la maggiore e ai templi del wellness spetterà un ruolo chiave di monitoraggio, motivazione, guida e coaching per il nostro benessere. E gli istruttori più bravi e carismatici saranno i nuovi influencer, con lezioni e tecniche che impartiranno anche nella versione online. Quanto all’alimentazione, nei supermarket leggeremo sempre di più le etichette dei prodotti per il nostro wellness. L’abbiamo imparato negli ultimi due anni: controlliamo che non ci sia lo zucchero e che gli ingredienti siano sostenibili.

Boom dei trattamenti fai da te

I metodi di cura di sé una volta detti ‘alternativi’ e visti con sospetto, scrive Ansa, saranno sempre più inglobati nelle abitudini comuni. I dispositivi usati dagli specialisti negli ambulatori per fare diagnosi entreranno nelle case e i farmaci di uso comune traslocheranno dal bancone del farmacista agli scaffali di libero shopping. Cresceranno gli OTC (farmaci senza ricetta), gli integratori e i dispositivi medici di teleconsulenza per diagnosi, prevenzione e trattamento da eseguire direttamente a casa propria.
In crescita l’e-commerce dei prodotti salutistici, perché l’abitudine a fare shopping online (anche con l’opzione compra online e ritira in farmacia) si è consolidata negli anni dei lockdown.

Più salute, meno stress, stessa produttività: la settimana lavorativa di 4 giorni sarà il futuro?

Una settimana lavorativa di soli 4 giorni, però con lo stesso stipendio di 5? Non si tratta di un’utopia, ma di un possibile scenario che potrebbe verificarsi nel mondo del lavoro. Esperimenti condotti in tal senso hanno infatti rivelato che in questo modo non solo la produttività resta identica, ma addirittura migliora. E per i lavoratori si tratta di un grande passo avanti verso una migliore qualità della vita, con effetti benefici sulla salute, sulla riduzione dello stress e in generale sul work-life balance. Insomma, tutti contenti: aziende e dipendenti. A dimostrarlo è uno studio condotto in Islanda su un campione di  2.500 lavoratori, ovvero l’1% della popolazione attiva. L’esperimento è stato messo in campo tra il 2015 e il 2019, con una riduzione dell’orario di lavoro da 40 a 35-36 ore settimanali, per arrivare a una settimana lavorativa composta solamente tra 4 giorni. I dipendenti erano impiegati in diversi settori del pubblico, dagli ospedali agli uffici amministrativi, dai servizi sociali alle scuole materie. I risultati? Decisamente positivi e incoraggianti. 

Test analoghi in altri Paesi d’Europa

Quello islandese non è però un caso isolato. Sono diversi i Paesi europei che stanno discutendo o hanno discusso sulla possibilità di accorciare la settimana lavorativa a soli 4 giorni. Ad esempio Spagna, Finlandia e Germania stanno valutando l’opportunità di introdurre la settimana corta, che risolverebbe più di un problema. E anche in Italia potrebbe essere un’opzione valida, anche perché l’Italia è il secondo Paese in Europa per quantità di ore settimanali lavorate, che sono mediamente 7 in più rispetto a quelle della Germania. Davvero tante. In effetti, qualche azienda virtuosa che ha attivato la settimana di 4 giorni già esiste: è il caso della Raffin House Technology di Brunico, in Alto Adige, che sta testando questa formula con risultati molto soddisfacenti sia per l’azienda sia per i lavoratori.

Italia simile al Giappone

“E’ notizia di pochi giorni fa che lo stesso Giappone desidera introdurre la settimana corta, e non a caso” spiega Carola Adami, co-fondatrice della società italiana di head hunting Adami & Associati.. “Tutti conosciamo il Giappone come un Paese in cui l’attaccamento dei dipendenti e all’azienda è fortissimo, tanto da toccare talvolta lo stacanovismo; è però anche vero che questo Paese sta affrontando problemi come la produttività bassa, il calo demografico e il calo dei consumi. Introducendo la settimana corta, e quindi aumentando il tempo libero da dedicare alla famiglia o alla formazione, si potrebbe raggiungere il doppio obiettivo di aumentare la produttività e di rilanciare i consumi” continua Adami. Questa mossa del Giappone dovrebbe spingerci a guardare con ancora maggiore attenzione alla possibilità della settimana corta. “Proprio così, soprattutto pensando che anche in Italia si affrontano problemi simili a quelli giapponesi: basta guardare ai dati relativi all’andamento demografico, alla produttività e alle ore lavorate” conclude Adami.