Pandemia e Gender Gap, l’impatto sui Paesi del G7

Gli stereotipi sul ruolo delle donne nella società sono ancora molto diffusi, e ciò rende sempre più reale il rischio di un ritiro delle donne dalla scena economica, anche a causa dell’impatto della pandemia. I modelli tradizionali infatti rimangono ancora molto attuali nei Paesi del G7, soprattutto quando si tratta del ruolo delle donne e del confronto tra maternità e carriera, e la situazione dopo il Covid è peggiorata. Un sondaggio Ipsos, condotto per WeWorld Onlus, ha indagato la condizione economica delle donne italiane in epoca di Covid-19, mostrando come una donna su 2 abbia visto peggiorare la propria situazione economica a causa del Coronavirus e una lavoratrice su 2 abbia paura di perdere il proprio posto di lavoro.

Stereotipi ancora troppo diffusi 

Se il 64% degli intervistati e il 70% delle donne crede che “sia più difficile per una donna che per un uomo avere una carriera di successo”, il 50% degli intervistati e il 49% delle donne crede che “se vuoi essere una buona madre devi accettare di sacrificare parte della tua carriera professionale”. Questi modelli sono così forti che molti degli intervistati mascherano l’esistenza di disuguaglianze di genere e i meccanismi attraverso i quali queste disuguaglianze si diffondono. Tanto che il 46% degli intervistati ritiene che “le persone esagerano le disuguaglianze di genere”, e il 43% crede che “le donne non scelgono le stesse carriere degli uomini per propria scelta e libera volontà.

La riduzione delle diseguaglianze di genere dovrebbe essere una priorità

Tutti gli intervistati però ritengono che le disuguaglianze di genere esistano almeno in qualche misura, e siano diffuse nei Paesi del G7. Inoltre, in Italia, Stati Uniti e Giappone le persone ritengono che il livello di disuguaglianza di genere sia più alto nel proprio Paese che nel resto del G7. Le disuguaglianze di genere sono una realtà, per questo i cittadini dei Paesi del G7 ritengono che la loro riduzione dovrebbe essere considerata una priorità. Il 90% crede che colmare il gender gap sia importante e per il 29% è addirittura una priorità assoluta (32% donne). Questa aspettativa è ancora più forte in Italia (95%), dove il 50% delle italiane pensa che dovrebbe essere una priorità assoluta.

Le pari opportunità e l’effetto positivo su società e lavoro

Il 97% degli intervistati ritiene che colmare il gender gap nel periodo post-Covid sarà un obiettivo ancora più difficile da raggiungere, e sono soprattutto gli italiani a essere preoccupati. Se le donne avessero le stesse opportunità degli uomini, per il 79% degli intervistati questo avrebbe un effetto positivo sulla società nel suo complesso, per il 74% sull’occupazione, per il 74% sulla crescita economica e per il 73% sui salari complessivi. La percentuale di uomini che pensano che l’integrazione delle donne avrebbe impatti positivi però è leggermente diminuita rispetto all’anno scorso. È possibile che alcuni di loro, in questo periodo instabile e incerto, possano sentirsi minacciati, e quindi meno propensi a sostenere la promozione delle donne.

Le proposte dei direttori del personale per ripartire dal lavoro

La parola d’ordine del 50° Congresso nazionale dell’Aidp, l’associazione italiana per la direzione del personale, è ripartire. Per l’edizione 2021 l’Aidp ha scelto proprio di svolgersi all’insegna del concetto di ripartenza. E grazie ai contributi di centinaia di esperti e professionisti del mondo del lavoro coinvolti, ha declinato in 13 proposte suddivise per aree tematiche, e sintetizzate in 5 punti, la “buona” ripartenza per il mondo del lavoro.

Un nuovo modello ibrido che alterna lavoro da remoto e in presenza 

La prima proposta dei direttori Aidp è quella di adeguare le necessità tra lavoro da remoto e in presenza. Dopo il massiccio ricorso allo smart working in fase pandemica, bisognerà infatti capire come riorganizzarlo in un contesto di normalità, anche a seguito di un’analisi costi-benefici. Secondo gli esperti si va verso un modello ibrido con alternanza tra lavoro da remoto e in presenza. Un modello che coinvolgerà tutte le figure lavorative e professionali, a esclusione delle mansioni non ‘remotizzabili’.

La riorganizzazione dell’azienda mette al centro il benessere delle persone 

Come rendere l’impresa resiliente? L’Aidp non ha dubbi: usare il contratto collettivo di lavoro, ai vari livelli, per modellare una disciplina dei rapporti di lavoro secondo le esigenze aziendali, investire nella formazione permanente e continua del personale in percorsi di crescita e valorizzazione, e organizzare l’impresa in senso orizzontale. Ma la riorganizzazione dell’azienda e del lavoro deve necessariamente partire dall’esigenza di mettere le persone e il loro benessere al centro. Allo scopo bisogna partire dal ‘basso’, ascoltare i suggerimenti provenienti dai lavoratori nella riprogettazione dei modelli organizzativi, semplificare la scala gerarchica, favorire la condivisione delle idee e valorizzare come priorità la dimensione umana del lavoro, favorendo il benessere fisico e psicologico dei dipendenti.

Superare il digital divide e favorire un reale processo di occupazione

Il ruolo integrativo dell’azienda nel nuovo modello di welfare community, basato sempre più sulla collaborazione tra pubblico e privato, per i direttori del personale è decisivo, soprattutto in considerazione dei nuovi bisogni sociali. Va potenziato lo strumento anche verso le nuove esigenza della mobilità sostenibile, riporta Adnkronos, l’aggiornamento di alcuni parametri come il concetto di famiglia, il sostegno ai servizi alla persona e l’innalzamento strutturale del tetto ai fringe benefit a 516 euro l’anno. Si rende necessario, poi, un programma di reskilling di ampia portata verso le nuove competenze della rivoluzione ibrida, ossia AI e intelligenza umana, cyber e fisico, quindi, per superare il digital divide e favorire un reale processo di occupazione e di sviluppo economico. Il 72% delle aziende dubita, infatti, di aver le giuste competenze.

Green Pass, tutto quello che c’è da sapere per viaggiare

Il Green Pass (che in Europa si chiama EU Digital covid Certificate)  è il documento che ci darà la possibilità di vivere un’estate all’insegna della normalità dopo mesi di lockdown. In Europa entrerà in vigore a partire dal 1° luglio 2021 e avrà la validità di un anno, ma l’Italia si era già portata avanti introducendo nel decreto anti-Covid del 22 aprile 2021 il Green Pass italiano, necessario dal 15 giugno per potersi spostare tra regioni in fascia arancione o rossa e per partecipare a feste ed eventi.

A chi richiedere il Green Pass

Come specificato dal Ministero della Salute, il Green Pass  viene rilasciato in formato cartaceo o digitale dalla struttura sanitaria o dall’ASL territoriale di competenza e sarà disponibile anche nel proprio fascicolo sanitario elettronico. Il documento certifica l’avvenuta vaccinazione, la guarigione, l’esito negativo di un test molecolare o antigenico per la ricerca del Covid-19 eseguito nelle 48 ore antecedenti. Per chi ha già fatto il vaccino sarà quindi la struttura che avrà erogato il trattamento sanitario a rilasciare il certificato. Il Green Pass sarà rilasciato “anche contestualmente alla somministrazione della prima dose di vaccino, con validità dal quindicesimo giorno successivo alla somministrazione fino alla data prevista per il completamento del ciclo vaccinale”.
Nel caso di guarigione, invece, il certificato verrà rilasciato dalla struttura ospedaliera nelle quale si è stati ricoverati, dall’ASL o dai medici di medicina generale. A chi farà un tampone rapido verrà consegnato una certificazione, valida per 48h dal prelievo, dalle strutture sanitarie pubbliche, private autorizzate, accreditate, dalle farmacie o dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta. Le tre casistiche del Green Pass determinano diversi tempi di validità e modalità di rilascio: chi ha completato il ciclo vaccinale avrà un certificato della durata di 9 mesi; chi è guarito avrà un certificato della durata di 6 mesi; infine, in caso di tampone negativo il certificato vale per 48 ore dal test.

A cosa serve il Green Pass 

Il Green Pass italiano serve per spostarsi tra regioni che potrebbero rientrare in zona arancione o rossa, mentre non serve per gli spostamenti tra regioni bianche o gialle, ma sarà necessario anche per partecipare a feste relative a cerimonie civili o religiose, come i matrimoni e battesimi. Il certificato verde sarà utile anche per visitare i propri parenti nelle case di riposo e si ipotizza che, questa estate, servirà anche per accedere a concerti, spettacoli e discoteche. Il Green Pass Europeo, che permetterà ai possessori di muoversi liberamente nella UE senza obbligo di quarantena e probabilmente anche fuori dall’UE, sarà disponibile in formato cartaceo e digitale e sarà dotato di un QR code per facilitare il controllo dei dati.

Fino a 11 giorni per rilevarli: attacchi informatici sempre più sofisticati

Non solo gli attacchi informatici sono diventati sempre più sofisticati e insidiosi, ma sono anche diventati “nascosti”: così silenziosi che possono volerci fino a 260 ore (circa 11 giorni) per individuarne uno. Lo rivela il nuovo rapporto di ricerca Sophos “Active Adversary Playbook 2021”, un vero e proprio vademecum che delinea il comportamento dei cybercriminali e le tecnologie che gli esperti di cybersecurity hanno dovuto scoprire ed esplorare nel corso del 2020 e nei primi mesi del 2021. E che gli hacker siano sempre più capaci e sofisticati è dimostrato anche dal fatto che molti attacchi, appunto, richiedono un sacco di tempo per essere individuati. Secondo i dati raccolti durante l’analisi, è emerso che il tempo medio di permanenza dell’aggressore nella rete di destinazione è stato di 11 giorni (264 ore) e la durata massima dell’intrusione è stata di 15 mesi. 

La tipologia e la modalità degli attacchi

Il 90% degli attacchi analizzati ha visto l’utilizzo del Remote Desktop Protocol (RDP) e nel 69% dei casi, tale protocollo è stato sfruttato per compiere movimenti laterali interni. Le misure di sicurezza per RDP, come le VPN e l’autenticazione a più fattori, tendono a concentrarsi sulla protezione dei punti di accesso dall’esterno. Tuttavia, questi accorgimenti non funzionano se il cybercriminale è già all’interno della rete. L’uso di RDP per il movimento laterale interno è sempre più comune negli attacchi attivi, hands-on-keyboard, come quelli che vedono protagonista il ransomware. Il ransomware è stato rilevato nell’81% dei casi analizzati: il momento in cui il ransomware colpisce è spesso quello in cui l’attacco diventa visibile al team di sicurezza IT. Non è quindi una sorpresa che la maggior parte degli incidenti a cui Sophos ha risposto avessero per protagonista proprio il ransomware. Tra le altre tipologie di attacchi analizzati anche quelli di esfiltrazione, di cryptomining, Trojan bancari, wiper, dropper, pen test ecc…

Il panorama delle minacce sempre più complesso 

“Il panorama delle minacce sta diventando sempre più complesso, con attacchi sferrati da avversari dotati di grandi risorse e numerose competenze, dai cosiddetti “script kiddies” fino ai gruppi più esperti sostenuti da specifiche nazioni” ha detto John Shier, senior security advisor di Sophos. “Questo può rendere la vita difficile ai responsabili della sicurezza IT.  Nell’ultimo anno, i nostri team addetti a rispondere agli incidenti hanno fornito supporto volto a neutralizzare gli attacchi lanciati da più di 37 gruppi di attacco che hanno utilizzato più di 400 strumenti diversi. Molti di questi strumenti sono utilizzati anche dagli amministratori IT e dai professionisti della sicurezza per le loro attività quotidiane e di conseguenza individuare la differenza tra attività benigna e dannosa non è sempre facile. Con i cybercriminali che trascorrono una media di 11 giorni nella rete, implementando il loro attacco mentre si confondono con l’attività IT di routine, è fondamentale che i responsabili della sicurezza IT colgano le avvisaglie da tenere sotto osservazione. Uno dei principali segnali di allarme, per esempio, è quando uno strumento o un’attività legittima viene rilevata in un luogo inaspettato. Bisogna sempre tenere a mente che la tecnologia può fare molto ma, nel panorama delle minacce di oggi, potrebbe non essere sufficiente da sola. L’esperienza umana e la capacità di rispondere sono una parte vitale di qualsiasi soluzione di sicurezza”.

Italiani e PNNR: lavoro, istruzione, giustizia e fisco sono le priorità

Abbastanza fiduciosi e particolarmente sensibili ad alcune tematiche come lavoro, istruzione, giustizia e fisco: ecco l’atteggiamento degli italiani nei confronti del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) messo a punto dal Governo. L’analisi del sentiment dei nostri connazionali rispetto a questo tema così importante è stata effettuata attraverso un sondaggio dell’Osservatorio LegaCoop, ideato e realizzato da Ipsos e dall’AreaStudi dell’associazione.

Fiduciosi a metà

Con una piccola percentuale, risultano in maggioranza gli ottimisti rispetto ai pessimisti. Alla domanda se il Governo sarà in grado di attuare le riforme di cui si discute da anni, il 53% degli intervistati ha risposto di sì e il 47% ha risposto di no. Leggendo i dati, è curioso scoprire che i più fiduciosi nella buona riuscita del Piano sono gli abitanti delle isole (68%), gli over 50 (59%) e il ceto medio (58%). I più sfiduciati risultano essere gli abitanti delle regioni del Nord-Ovest (58%) e chi appartiene al ceto popolare (57%)

Cosa vogliono i nostri connazionali

Sono in primo luogo il lavoro e l’istruzione i due temi a cui gli italiani sono maggiormente sensibili. Infatti, in merito alle riforme da realizzare per poter disporre delle risorse europee indispensabili a garantire pieno successo agli investimenti programmati nel PNRR, gli intervistati hanno indicato al primo posto la riforma del lavoro (il 66%, con punte del 74% tra gli under 30 e del 73% tra le donne), seguita, a pari merito, da quelle dell’istruzione (37%, con una punta del 53% tra gli under 30). Segue poi la giustizia (37%) e quasi a pari merito la riforma del fisco (36%, con una punta del 43% al Nord Est).

Gli interventi ritenuti più necessari per il lavoro

In merito agli interventi ritenuti fondamentali per la riforma del lavoro, gli italiani hanno espresso chiaramente le loro indicazioni nel sondaggio. Il 55% degli intervistati ha indicato l’opportunità di incentivare la nascita di nuove imprese giovanili, il 52% l’integrazione di politiche del lavoro e politiche sociali, garantendo il passaggio da lavoro a lavoro (con punte del 60% tra gli over 50 e del 58% tra gli uomini). Seguono la sottolineatura dell’esigenza di sostenere la partecipazione delle donne al mercato dal lavoro (44%, con punte del 54% tra gli under 30 e del 53% tra le donne) e di incentivare la nascita di cooperative di giovani, ovviamente in questo ultimo caso con una maggioranza di “voti” da parte degli under 30 (39%).

Boom di furti di dati personali sul web, soprattutto sui siti di intrattenimento

L’uso più intenso del web durante la pandemia ha sicuramente offerto ai cybercriminali molte occasioni in più per sferrare gli attacchi. Rispetto al primo semestre del 2020, infatti, nella seconda metà dell’anno gli utenti italiani che hanno ricevuto un avviso di un attacco informatico ai danni dei propri dati personali sono aumentati del 56,7%. Il dato si riferisce in particolare agli alert relativi a informazioni ritrovate sul dark web, che risultano quasi il doppio di quelle rilevate sul web pubblico. A quanto emerge dall’Osservatorio Cyber, realizzato da CRIF, gli account legati ai siti di intrattenimento, soprattutto di giochi online e streaming, sono quelli maggiormente esposti alla sottrazione di dati personali (51,5%).

L’Italia è tra i Paesi più colpiti

Secondo l’Osservatorio, nel secondo semestre del 2020, oltre ai siti di intrattenimento, i furti dei dati personali sono avvenuti maggiormente nei social media (31,8%), nei siti di e-commerce (10,7%), nei forum e in altri siti web (5,9%).

Scorrendo invece la classifica dei Paesi più colpiti dal furto di email e password ai primi posti si piazzano USA, Russia, Francia e Germania, seguiti dal Regno Unito e dall’Italia. Quanto ai continenti più soggetti a scambio di dati illeciti di carte di credito, la graduatoria è guidata dal Nord America, seguito da Europa e Asia, e in fondo alla classifica, da Africa e Oceania. Tra le singole nazioni, in vetta sempre gli Stati Uniti, seguiti da Francia e Brasile, mentre l’Italia occupa l’undicesima posizione

Quali dati circolano sul dark web?

I dati personali che prevalentemente circolano sul dark web, pertanto più vulnerabili, risultano le password, gli indirizzi email individuali o aziendali, gli username, e i numeri di telefono. Questi preziosi dati di contatto potrebbero essere utilizzati per cercare di compiere truffe, ad esempio attraverso phishing o smishing. Non mancano però scambi di dati con una valenza finanziaria, come carte di credito e IBAN. Se quelli ritrovati sul dark web sono per la maggior parte account email personali, si nota però una certa accelerazione sul fronte delle violazioni sugli account business, che nel giro di 6 mesi hanno visto un incremento del +27,8%.

Le password più utilizzate

Secondo un’analisi delle password rilevate sul dark web, al primo posto della top 10 delle password più utilizzate nel secondo semestre 2020 si trova “123456”, seguita da “123456789” e da “qwerty”. Si tratta pertanto di combinazioni di numeri e lettere molto semplici, facilmente intercettabili da parte degli hacker. D’altro canto, l’utilizzo di queste password rivela la poca esperienza o la pigrizia di una parte di utenti, che spesso non seguono le più elementari regole per proteggersi da eventuali intrusioni, come scegliere password lunghe e diverse per ogni account importante, combinazioni di lettere, numeri e simboli, prive di legami con informazioni personali. Sarebbe consigliabile però anche prestare la massima attenzione all’utilizzo delle reti WiFi pubbliche, dove anche la password più sicura potrebbe essere intercettata.

Le 10 tecnologie del 2021 secondo il MIT

La Technology Review del celebre Mit ha pubblicato la ventesima edizione della classifica delle tecnologie più importanti per il 2021. Dai supercomputer GPT-3 alle batterie al litio-metallo fino all’AI multisensoriale ecco alcune delle dieci tecnologie che saranno protagoniste nel 2021. Il primo posto spetta però ai vaccini mRNA, come i due vaccini più efficaci contro il coronavirus, basati appunto su messenger RNA, molto promettente anche come base per modificazioni genetiche a basso costo per l’anemia falciforme e l’HIV. Al secondo posto si trova il GPT-3, il modello di gran lunga più grande e alfabetizzato di computer basati sul linguaggio naturale, ovvero che imparano a scrivere e parlare come gli esseri umani. Chiudono la top 3 gli algoritmi “For You” di TikTok. A chi si chiede il perché del suo successo, la risposta è merito degli algoritmi che alimentano il suo feed “For You”, che hanno cambiato il modo in cui le persone diventano famose online.

Batterie al litio-metallo, data trust

Gli inconvenienti dei veicoli elettrici (EV) hanno a che fare con i limiti delle batterie agli ioni di litio. Ma QuantumScape, startup della Silicon Valley, ha prodotto una batteria al litio-metallo (4°) che renderà i veicoli elettrici molto più appetibili per i consumatori. Al quinto posto della top 10 del Mit ci sono i data trust, che potrebbero offrire una soluzione potenziale ai problemi della privacy e della sicurezza sul web. Un data trust è un’entità legale che raccoglie e gestisce i dati personali delle persone per loro conto. Insomma, un approccio alternativo al tema scottante della privacy, che alcuni governi stanno iniziando a esplorare.

Idrogeno verde, tracciamento digitale dei contatti, geoposizionamento

Il rapido calo dei costi dell’energia solare ed eolica rende l’idrogeno verde (6°) abbastanza economico da essere praticabile. Basta pompare l’acqua con l’elettricità, e in poco tempo ecco l’idrogeno. Al settimo posto si piazza il tracciamento digitale dei contatti, che se non è riuscito ad avere un grande impatto sulla diffusione del coronavirus, la lezione della pandemia potrebbe essere utile per altri settori dell’assistenza sanitaria. L’ottavo posto è invece occupato dal geoposizionamento. Mentre il GPS di oggi è accurato entro 5-10 metri, le nuove tecnologie di posizionamento hanno un’accuratezza di pochi centimetri o millimetri. Quattro nuovi satelliti per il GPS III sono stati lanciati a novembre, e altri sono attesi in orbita entro il 2023.

Tutto a distanza e AI multisensoriale

La pandemia ha costretto il mondo ad andare in remoto. Ottenere questo cambiamento è stato particolarmente critico nell’assistenza sanitaria e nell’istruzione, e in alcune aree del pianeta. Ma Snapask, una società di tutoraggio degli studenti online, ha raggiunto più di 3,5 milioni di utenti in nove paesi asiatici, e Byju’s, un’app di apprendimento con sede in India, ha visto il numero dei suoi utenti salire a quasi 70 milioni. Chiude la top 10 l’AI multisensoriale. Le IA con più sensi otterranno infatti una maggiore comprensione del mondo che le circonda, raggiungendo un livello di intelligenza molto più flessibile.

Nel limbo dei Neet più di una ragazza su 4 tra 15 e 29 anni

Trovarsi nella condizione di non studiare, non lavorare, non essere inserita in alcun percorso formativo, non avere prospettive per il futuro né la possibilità di realizzare i propri sogni e il proprio potenziale, insomma, trovarsi nel limbo dei cosiddetti Neet. È questa la condizione in cui si trovava alla fine del 2020 più di 1 ragazza italiana su 4 di età tra i 15 e i 29 anni. Un divario di genere che già nel 2019 presentava picchi fino al 40% in Sicilia e in Calabria, ma che riguardava anche i territori generalmente più virtuosi, come il Trentino Alto Adige, dove a fronte del 7,7% dei ragazzi, le ragazze Neet erano quasi il doppio (14,6%). Lo sottolinea Save the Children, evidenziando inoltre come nella vita di tutti i giorni siano ancora troppi gli stereotipi che segnano la quotidianità di moltissime ragazze.

Stereotipi di genere che condizionano il futuro professionale delle donne

Esistono stereotipi di genere di tipo sistemico ben radicati nella nostra società, che le bambine e le ragazze cominciano a conoscere già nella prima infanzia, e che creano disuguaglianze che le separano dai coetanei maschi man mano che crescono. Divari che si ampliano e ripercuotono poi sul fronte occupazionale, nonostante bambine e ragazze siano più brave a scuola, abbiano meno bocciature e abbandoni scolastici e competenze maggiori in lettura e in italiano e arrivino a laurearsi molto più dei ragazzi. Progressivamente, però, già a partire dalla scuola primaria, si allontanano dalle materie scientifiche, prospettiva che influenza l’indirizzo di studio e della facoltà universitaria e, che insieme ad altri fattori che ostacolano la piena indipendenza delle donne, conduce alla segregazione orizzontale e verticale nel lavoro e nelle carriere, a partire dai settori più innovativi.

Le mamme sono state tra le più colpite dagli effetti della crisi economica

“Una generazione di bambine e ragazze sta vedendo tale situazione acuirsi anche a causa della crisi che stiamo vivendo per via della pandemia – dichiara Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children -. Le mamme, inoltre, sono state tra le più colpite dagli effetti della crisi economica e la mancanza di servizi per la prima infanzia e la necessità di prendersi cura dei bambini in questa fase difficile ha pregiudicato il futuro lavorativo di molte di loro”.

“Non ci si può permettere di disperdere il potenziale delle ragazze”

“In questo momento storico è indispensabile andare alla radice di queste diseguaglianze – continua Milano – perché non ci si può permettere di disperdere il potenziale delle donne e delle ragazze, a partire proprio da quelle che vivono nei contesti più svantaggiati, con interventi specifici volti a liberare talenti e capacità dell’universo femminile. Sono necessari investimenti strutturali che riguardino il mondo del lavoro e i servizi educativi per la prima infanzia, i percorsi educativi all’interno delle scuole, il contrasto a ogni forma di violenza di genere e il sostegno al protagonismo delle ragazze stesse”.

Cosmetica, nel 2020 -12,8% di fatturato, ma e-commerce +42%

Nel 2020 l’impatto del Covid sul settore della cosmetica fa flettere il fatturato globale del 12,8%, e l’export del 16,5%. Solo l’e-commerce ha mostrato dati positivi. Il suo valore ha infatti raggiunto 700 milioni (+42% rispetto al 2019), portando il retail digitale al quarto posto tra i canali di distribuzione, con un peso del 7,4% sul totale del mercato nel 2020. Secondo i dati preconsuntivi 2020, il fatturato globale del settore ha sfiorato i 10,5 miliardi di euro (-12,8%), ma in calo risultano anche i valori del mercato interno (-9,6%). Sono i numeri che emergono dall’indagine congiunturale presentata dal Centro Studi di Cosmetica Italia.

Limitazioni e incertezze colpiscono l’export e i canali professionali

Risentendo delle limitazioni e delle incertezze a livello internazionale, secondo l’indagine le esportazioni hanno raggiunto un valore di oltre 4 miliardi (-16,5%), mentre è vicino a 1,9 miliardi il valore della bilancia commerciale. L’analisi dell’andamento dei canali distributivi evidenzia le dinamiche di reazione alla pandemia, condizionate dalla specializzazione di riferimento oltre che dalle limitazioni che li hanno riguardati. I canali professionali acconciatura (-28,5%) ed estetica (-30,5%) risentono infatti delle chiusure forzate del primo lockdown, oltre che, soprattutto per l’estetica, delle ulteriori restrizioni per area geografica con riferimento alle regioni in zona rossa.

Profumeria ed erboristeria condizionate dalle nuove modalità di acquisto

Pesanti contrazioni si registrano anche nelle vendite dirette (porta a porta e per corrispondenza), che chiudono l’anno a -30% rispetto al 2019. Condizionata dalle nuove modalità di acquisto, che hanno spostato i consumi verso altri canali, la profumeria, che cala del -27%. Segnali di difficoltà arrivano anche dall’erboristeria (-26%), con andamenti diversi tra monomarca e punti vendita tradizionali, riporta Askanews. Farmacia e grande distribuzione sono invece i canali che, seppur con dati in contrazione, hanno contenuto i cali. La farmacia chiude infatti il 2020 con un trend attorno al -2,5%, analogamente alla grande distribuzione. Quest’ultima continua a rappresentare oltre il 41% dei consumi cosmetici.

Le prospettive per il 2021 tuttavia sono positive

“Le prospettive di ripresa per il 2021, seppur distanti dai valori del 2019, sono legate alla natura anticiclica del comparto. Il cosmetico è infatti un bene indispensabile, come la stessa pandemia ci ha ricordato – commenta Renato Ancorotti, presidente di Cosmetica Italia -. Lo scorso anno abbiamo assistito a un’accelerazione nel cambiamento dei modelli di comportamento, alla ridefinizione degli equilibri internazionali e all’evoluzione dell’organizzazione del lavoro e delle relazioni personali: fenomeni che verosimilmente si sarebbero concretizzati nel medio periodo – sottolinea Ancorotti -. Le imprese sentono da un lato la spinta alla ripartenza, dall’altro hanno però bisogno di nuove e solide condizioni per potersi realizzare, accompagnate da un piano governativo capace di affiancarle, anche in termini di promozione del Made in Italy”.

Edilizia del futuro, come cambierà e quali saranno le competenze richieste

Come cambia l’intero comparto dell’edilizia, alla luce dei nuovi trend e dei nuovi investimenti messi in cantiere – è proprio il caso di dirlo – dal Governo per rilanciare il settore? In estrema sintesi, come concordano tutti gli analisti, sono prefabbricazione, circolarità e riduzione dei consumi le parole d’ordine dell’edilizia del futuro. Tutti obiettivi raggiungibili grazie a una svolta digitale nei processi professionali e a una forte spinta all’innovazione. Per far questo bisogna acquisire nuove competenze, grazie a corsi di specializzazione mirati.

Crescita del volume di produzione edifici entro il 2030

Entro il 2030 è prevista una rilevante crescita del volume di produzione di edifici. Anche grazie alle misure messe in atto dal Governo che stanno spingendo verso una ripresa che sta già impattando sul versante occupazionale. Basti pensare a tutte le figure professionali e alle imprese ora letteralmente sommerse di richieste per il superbonus. Il settore delle costruzioni si trova davanti a una sfida: come soddisfare una domanda in crescita con la necessità di accogliere le nuove esigenze di una società in evoluzione. L’obiettivo è ridurre l’impatto ambientale del costruito, andando progressivamente in un’ottica di green building. E molto probabilmente saranno la tecnologia e le innovazioni che sono state sviluppate negli ultimi anni a trasformare il settore in chiave smart e sostenibile.
L’edilizia è uno dei settori più energivori al mondo

Per il fatto che l’edilizia rappresenta uno dei comparti più energivori,  non sorprende che ai professionisti venga richiesta una particolare attenzione all’impatto ambientale riducendo l’approccio consumistico (di materie, spazi, energia) verso un nuovo modello basato sull’abbattimento degli sprechi e sul no-waste. Quantificare i risparmi energetici e di materiali sta diventando un imperativo: in questo processo i nuovi strumenti digitali sono un alleato indispensabile per muoversi in questa direzione. “Per un futuro che è già presente la prospettiva è che Big Data, Artificial Intelligence e Machine Learning saranno alla base di strumenti in grado di indicare le scelte più performanti per ottenere un risultato realizzativo ottimale in termini di costi, materiali, consumi energici, idrici ed inquinanti”, dice Marina Perego Direttore della Fondazione Green. “E’ per questo motivo che che con la Fondazione Green abbiamo fortemente voluto proporre un corso gratuito IFTS dedicato alla Bioedilizia e alle tecnologie Digital Green”. Anche nell’edilizia è diventato fondamentale avere le skills “giuste”: non per niente è al 30% la difficoltà di reperimento dei profili ricercati (contro il 26% del 2019) soprattutto a causa di una preparazione inadeguata. In particolare, servono competenze  in ambito digitale, richieste al 60,4% dei profili ricercati nel 2020, in ambito “green” con una domanda che si attesta all’82% e anche in entrambi.  Insomma, la competenza trasversale  è un fattore strategico di competitività.