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La situazione sociale e lavorativa in Italia nel 2021

Alti tassi di disoccupazione, soprattutto dei giovani, e ampie sacche di inattività, soprattutto femminile, sono le caratteristiche di un mercato del lavoro sempre più sclerotizzato. L’emergenza sanitaria ha avviato però un nuovo ciclo dell’occupazione. Il 36,4% degli italiani ritiene che la crisi da Covid-19 si sia tradotta in una maggiore precarietà, mentre per il 30,2% degli italiani l’esperienza del lavoro da casa ha dato la possibilità di conciliare le esigenze personali con quelle professionali. Cresce poi anche l’aspettativa nel futuro, soprattutto per il 27,8% della popolazione, che considera le risorse europee e il Pnrr elementi in grado di garantire occupazione e sicurezza economica per lavoratori e famiglie.
Si tratta di alcune evidenze del capitolo ‘Lavoro, professionalità, rappresentanze’ del 55° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese nel 2021.

Retribuzioni disincentivanti e condizioni inadeguate per avviare un’attività

Per il 30,2% degli italiani al primo posto tra i fattori che frenano l’inserimento professionale ci sono le retribuzioni disincentivanti offerte in cambio della prestazione lavorativa. Anche nei confronti di chi dispone di competenze e capacità adeguate. Al secondo posto (29,9%), la persistenza di condizioni inadeguate per avviare un’attività in proprio, dal peso degli adempimenti burocratici al carico fiscale che grava sull’attività d’impresa.

Lavoro dipendente e libere professioni

Quanto alle retribuzioni degli oltre 15 milioni di lavoratori pubblici presenti negli archivi Inps, il dato medio complessivo riferito alla giornata retribuita si attesta a 93 euro. Una donna percepisce una retribuzione inferiore di 28 euro rispetto a un uomo, e la sua retribuzione è inferiore del 18% rispetto alla media. In base all’età emerge invece una differenza di 45 euro tra un under 30 e un over 54, ed è ampia anche la distanza tra la paga giornaliera di chi ha un contratto a tempo indeterminato (97 euro) rispetto al tempo determinato (65 euro), e fra full time e part time: la prima vale più di due volte la seconda. Resta invece intatto l’appeal delle libere professioni, definite dal 40,0% degli italiani attività prestigiose, che fanno valere le competenze acquisite e l’impegno dedicato allo studio. Per il 34,1% poi si tratta di un lavoro utile, importante per la collettività.

Obiettivi di crescita del Pnrr vs basso impegno nella formazione

Il basso impegno nella formazione continua e il ritardo nell’adozione di efficaci politiche attive del lavoro rischiano di rappresentare una strozzatura per il perseguimento degli obiettivi di crescita previsti dal Pnrr. Le imprese italiane di minore dimensione accedono poco ai fondi per la formazione finanziata (6,2%), contro il 64,1% delle aziende che contano più di 1.000 dipendenti. Per realizzare gli obiettivi del Pnrr è necessario disporre di un sistema coerente di politiche attive del lavoro, in grado di gestire il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro. Oggi però i centri pubblici per l’impiego riescono a entrare in contatto soltanto con il 18,7% delle persone in cerca di occupazione, mentre a livello europeo la percentuale sale al 42,5%.

Gli Italiani e il risparmio: cosa è cambiato con la pandemia?

In occasione della 97° Giornata Mondiale del Risparmio Acri-Ipsos ha presentato la 21° edizione dell’indagine dal titolo Gli Italiani e il Risparmio, che delinea il livello di soddisfazione per la propria situazione economica e il proprio tenore di vita, l’atteggiamento e la propensione verso il risparmio, evidenziando i cambiamenti rispetto all’anno passato. Il peggio sembra essere passato, e la minaccia del Covid, per quanto ancora presente, si è ridotta, inducendo il 54% degli italiani a pensare l’emergenza sanitaria sia prossima alla fine. E questo induce ad ampliare le proprie prospettive economiche verso un orizzonte a medio termine.

Il 45% è riuscito ad accumulare risparmi negli ultimi 12 mesi

L’indagine conferma l’evidenza colta lo scorso anno: accanto a una quota di italiani in grado di resistere alle difficoltà (38%), con una situazione economica in miglioramento (13%), persiste una quota non trascurabile, e in crescita, che ha esaurito o è prossima a esaurire le risorse a propria disposizione, sottolineando gravi mancanze (49% vs. 47% nel 2020). Rimane però molto alta la percentuale di italiani che sono riusciti ad accumulare risparmi negli ultimi 12 mesi, e che lo hanno fatto con tranquillità (45%) guardando soprattutto al futuro. Al contempo, rispetto al 2020 è tornato a risalire il numero di famiglie che ha fatto ricorso a risorse proprie o a prestiti (19% vs. 16% nel 2020), descrivendo una situazione che ha portato ad associare il risparmio a un senso di sacrificio.

Si intravedono prospettive di miglioramento

Rispetto al 2020 gli aiuti europei e il PNRR, e la fiducia nel Governo e nel suo operato portano il 40% degli italiani a intravedere prospettive di miglioramento nei prossimi anni. Il cambio di scenario contribuisce a far maturare la consapevolezza del legame esistente tra risparmio privato e rafforzamento del senso di compartecipazione allo sviluppo sociale e civile (fondamentale per il 79% degli italiani vs. 77% nel 2020). Le direttrici lungo cui agire per rendere proficuo questo legame sono la formazione, attraverso cui dare spazio e creare occasioni per la realizzazione professionale dei giovani e per riqualificare i lavoratori (61%,), il welfare, per sostenere le fasce più deboli della popolazione (62%), e la competitività, che non può prescindere da un percorso dettato dalla transizione ecologica verso modelli di sviluppo sostenibili (64%).

L’uscita dall’emergenza sanitaria rischia di allargare la forbice

È quindi forte e condivisa la necessità di un modello inclusivo che ‘non lasci indietro nessuno’ nel recupero sociale. L’uscita dall’emergenza sanitaria rischia infatti di allargare la forbice tra chi sta meglio e chi invece è in difficoltà. In questo contesto, cresce l’interesse per il ruolo del non profit (per il 53% è fondamentale o importante), e più in generale, dei corpi intermedi (per il 39% è fondamentale o importante), che aiutano a intercettare le criticità e a trovare soluzioni per affrontare i problemi di oggi e scongiurare quelli che verranno.

E-commerce dal cellulare: cresce l’uso del mobile per gli acquisti online

“Le persone sono sempre più connesse tramite smartphone e tablet e lo dimostra il fatto che il canale mobile si sia consolidato negli ultimi 4 anni, con una costante ascesa, passando dal 41% del 2018 al 51% nel 2021”, spiega Gloria Ferrante, Marketing Manager Italia di PayPlug. L’e-commerce continua a crescere, e anche nel periodo post pandemia gli acquisti online si fanno sempre più col telefonino.  Più di un acquisto online su due, infatti, ormai viene effettuato tramite dispositivo mobile, soprattutto durante il fine settimana, in estate e nel corso del Black Friday. In particolare, il cellulare si utilizza soprattutto per lo shopping di prodotti cosmetici e di abbigliamento. È quanto emerge da una ricerca condotta da PayPlug, la soluzione di pagamento online pensata e concepita al 100% per le Pmi. 

Cresce il valore medio del carrello su smartphone

Si tratta di un andamento che rispecchia i dati diffusi dall’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano, secondo i quali con 15,65 miliardi di euro il mondo smartphone rappresenta il 51% del totale del mondo e-commerce. Ma a consolidarsi è anche il valore medio del carrello su mobile, sempre più spesso superiore ai 75 euro. Questo avviene nel 39% dei casi, una percentuale cresciuta di ben 7 punti dal 2019 (32%), e che sottolinea da parte dei consumatori la grande fiducia e usabilità del mezzo.

Cosmesi e abbigliamento i settori top per lo shopping dal telefonino

Da quanto rileva la ricerca di PayPlug i settori in cui lo shopping da mobile conquista maggiormente i consumatori sono due, quello della cosmesi (55%) e dell’abbigliamento (53%). Ma a spingere gli acquisti da mobile è anche il commercio ‘conversazionale’, ovvero l’atto di vendere prodotti e servizi intrattenendo una conversazione personalizzata con i propri clienti. In particolare, tramite sms, e-mail, oppure tramite applicazioni di messaggistica e chatbot.

Le vendite si concludono con un sms

Secondo la ricerca di PayPlug, tra gennaio e maggio 2021 il 15% dei commercianti ha infatti concluso vendite via sms utilizzando i link di pagamento. Una percentuale di quattro punti superiore rispetto all’11% dello stesso periodo del 2020 Di fatto, i commercianti hanno concluso le vendite inviando sms, e-mail, applicazioni di messaggistica, oppure re-indirizzano il cliente a una pagina di pagamento sicura. In questo modo dal proprio smartphone il cliente ha potuto inserire i dati per il pagamento, e convalidare l’ordine in modo semplice e veloce.

Wellness e nuova normalità, i sei cambiamenti post-pandemia

La pandemia ci ha profondamente cambiati, e nella fase della cosiddetta nuova normalità, anche nel campo del wellness si assisterà a un nuovo modo di prendersi cura del proprio benessere fisico e mentale. Ma torneremo o no in palestra? Dimenticheremo i rischi e i moniti dei medici per ritornare in forma come prima? Secondo il report globale The Next Normal 2030 a cura di McKinsey, saremo sempre più attenti al nostro benessere e alla forma fisica, ma in maniera più ‘olistica’. In pratica, dopo la pandemia saremo più interessati a sei aspetti particolari relativi al benessere, ovvero salute, fitness, alimentazione, look, metodi per dormire e per rilassarsi.

Nuovi trattamenti beauty, tecniche per rilassarsi e facilitare il sonno, anche hitech

Entro il 2030 assisteremo a un boom di servizi estetici,dalle punturine anti rughe rimpolpanti ai trattamenti clinici come dermoabrasione, tatuaggi e trucco personalizzato. Tutto però in nuove location: gli ambulatori medici diventeranno profumerie e le profumerie centri di medicina estetica. La ricerca della consapevolezza, attraverso tecniche di mindfulness, diventerà poi un aspetto essenziale delle nostre vite. Il fenomeno è destinato a crescere e la tecnologia e i dispositivi elettronici indossabili faranno la parte del leone. La pandemia ha però anche accentuato l’ansia, e se non sorprende il boom dei prodotti per facilitare il riposo, e i dispositivi hitech per migliorare il sonno, tramite la musica o massaggi rilassanti, profumi per aromaterapia e altro.

Fitness in casa con l’istruttore influencer, e più attenzione alle etichette

Dopo la casa e l’ufficio alle palestre spetterà l’appellativo di ‘terzo luogo’. Entro il 2030 ci torneremo, ma in modo nuovo: le soluzioni casalinghe del fitness andranno per la maggiore e ai templi del wellness spetterà un ruolo chiave di monitoraggio, motivazione, guida e coaching per il nostro benessere. E gli istruttori più bravi e carismatici saranno i nuovi influencer, con lezioni e tecniche che impartiranno anche nella versione online. Quanto all’alimentazione, nei supermarket leggeremo sempre di più le etichette dei prodotti per il nostro wellness. L’abbiamo imparato negli ultimi due anni: controlliamo che non ci sia lo zucchero e che gli ingredienti siano sostenibili.

Boom dei trattamenti fai da te

I metodi di cura di sé una volta detti ‘alternativi’ e visti con sospetto, scrive Ansa, saranno sempre più inglobati nelle abitudini comuni. I dispositivi usati dagli specialisti negli ambulatori per fare diagnosi entreranno nelle case e i farmaci di uso comune traslocheranno dal bancone del farmacista agli scaffali di libero shopping. Cresceranno gli OTC (farmaci senza ricetta), gli integratori e i dispositivi medici di teleconsulenza per diagnosi, prevenzione e trattamento da eseguire direttamente a casa propria.
In crescita l’e-commerce dei prodotti salutistici, perché l’abitudine a fare shopping online (anche con l’opzione compra online e ritira in farmacia) si è consolidata negli anni dei lockdown.

Più salute, meno stress, stessa produttività: la settimana lavorativa di 4 giorni sarà il futuro?

Una settimana lavorativa di soli 4 giorni, però con lo stesso stipendio di 5? Non si tratta di un’utopia, ma di un possibile scenario che potrebbe verificarsi nel mondo del lavoro. Esperimenti condotti in tal senso hanno infatti rivelato che in questo modo non solo la produttività resta identica, ma addirittura migliora. E per i lavoratori si tratta di un grande passo avanti verso una migliore qualità della vita, con effetti benefici sulla salute, sulla riduzione dello stress e in generale sul work-life balance. Insomma, tutti contenti: aziende e dipendenti. A dimostrarlo è uno studio condotto in Islanda su un campione di  2.500 lavoratori, ovvero l’1% della popolazione attiva. L’esperimento è stato messo in campo tra il 2015 e il 2019, con una riduzione dell’orario di lavoro da 40 a 35-36 ore settimanali, per arrivare a una settimana lavorativa composta solamente tra 4 giorni. I dipendenti erano impiegati in diversi settori del pubblico, dagli ospedali agli uffici amministrativi, dai servizi sociali alle scuole materie. I risultati? Decisamente positivi e incoraggianti. 

Test analoghi in altri Paesi d’Europa

Quello islandese non è però un caso isolato. Sono diversi i Paesi europei che stanno discutendo o hanno discusso sulla possibilità di accorciare la settimana lavorativa a soli 4 giorni. Ad esempio Spagna, Finlandia e Germania stanno valutando l’opportunità di introdurre la settimana corta, che risolverebbe più di un problema. E anche in Italia potrebbe essere un’opzione valida, anche perché l’Italia è il secondo Paese in Europa per quantità di ore settimanali lavorate, che sono mediamente 7 in più rispetto a quelle della Germania. Davvero tante. In effetti, qualche azienda virtuosa che ha attivato la settimana di 4 giorni già esiste: è il caso della Raffin House Technology di Brunico, in Alto Adige, che sta testando questa formula con risultati molto soddisfacenti sia per l’azienda sia per i lavoratori.

Italia simile al Giappone

“E’ notizia di pochi giorni fa che lo stesso Giappone desidera introdurre la settimana corta, e non a caso” spiega Carola Adami, co-fondatrice della società italiana di head hunting Adami & Associati.. “Tutti conosciamo il Giappone come un Paese in cui l’attaccamento dei dipendenti e all’azienda è fortissimo, tanto da toccare talvolta lo stacanovismo; è però anche vero che questo Paese sta affrontando problemi come la produttività bassa, il calo demografico e il calo dei consumi. Introducendo la settimana corta, e quindi aumentando il tempo libero da dedicare alla famiglia o alla formazione, si potrebbe raggiungere il doppio obiettivo di aumentare la produttività e di rilanciare i consumi” continua Adami. Questa mossa del Giappone dovrebbe spingerci a guardare con ancora maggiore attenzione alla possibilità della settimana corta. “Proprio così, soprattutto pensando che anche in Italia si affrontano problemi simili a quelli giapponesi: basta guardare ai dati relativi all’andamento demografico, alla produttività e alle ore lavorate” conclude Adami.

La ricetta della felicità? Amici e birra

Cosa rende felici gli italiani, dopo più di un anno di restrizioni e chiusure imposte dalla pandemia? E, soprattutto, cosa vorrebbero fare nell’estate del 2021? La risposta è molto semplice: la felicità è una serata al ristorante, con gli amici e una birra. A fotografare i desideri di nostri connazionali è stato uno studio commissionato da Osservatorio Birra all’Istituto Piepoli, che mostra attese e speranze degli italiani verso l’estate e le riaperture, dopo mesi di convivenza con coprifuoco e distanziamento sociale. In prima battuta, il sogno è quello di poter partire per una vacanza con gli amici (31%), seguito da quello di poter andare al ristorante o in pizzeria in compagnia (23%), per una serata davanti a una birra. La ricerca “Il nuovo fuori casa degli italiani” rivela quindi che la voglia di tornare ad uscire e incontrarsi è tanta, però con la consapevolezza che questo ritorno alla socialità perduta andrà conquistato e mantenuto con responsabilità.

Le “voglie” dei beer lover

Anche se va bene – anzi benissimo – la prudenza, le persone hanno voglia di uscire e di vivere i luoghi del fuori casa. E questo desiderio è particolarmente avvertito dai beer lover, i consumatori di birra, che più degli altri hanno voglia di convivialità. Infatti, se la quasi totalità degli italiani (92%) ritiene importante tornare a condividere il tempo libero fuori casa, gli appassionati di birra hanno sofferto maggiormente l’impossibilità di ritrovarsi nei luoghi di aggregazione come bar, pub, ristoranti e pizzerie (l’82% contro il 69% dei non consumatori). Proprio loro, infatti, saranno il motore della ripartenza dei consumi extradomestici: quasi 8 beer lover su 10 (78%) dichiarano che passeranno più tempo condiviso al di fuori delle mura domestiche nei prossimi mesi, contro il 71% dei non consumatori.

La birra batte il caffè

La birra la fa da padrona nelle scelte dei consumi fuori casa, confermandosi la bevanda “conviviale” per eccellenza. Con il 61% delle preferenze, la birra è stata la più consumata in questo periodo di graduali riaperture, davanti a caffè (43%), acqua (34%) e vino (38%). E, nelle intenzioni degli italiani, resterà la più bevuta fuori casa anche nei prossimi mesi, doppiando, con il 67% delle preferenze, caffè (28%), aperitivi e cocktail (24%). Alle dichiarazioni dagli italiani fa eco la conferma dagli addetti ai lavori dell’Ho.Re.Ca.: se è attorno a una birra stiamo ricostruendo il nostro stare insieme, questa bevanda può essere un ingrediente strategico anche per la ripresa dei luoghi del fuori casa. 

Il Covid cambia il business online, più app per salute mentale meno turismo

La pandemia ha cambiato i business digitali, e nell’era Covid volano le app del settore salute mentale mentre i consumatori digitali iniziano a girare le spalle al settore turismo. Stando all’ultima indagine realizzata dalla piattaforma danese di recensioni Trustpilot, e anticipata dall’Adnkronos, il settore Sanità mentale & Benessere registra infatti una crescita a 3 cifre, e le richieste di terapia virtuale sono cresciute del 309%, mentre il comparto Viaggi & Turismo è quello maggiormente penalizzato, con 900 milioni di turisti in meno nel 2020. 

Salute mentale, benessere o wellness menzionate 10.811 volte

A rilevare un vero boom è Ginger, app per recuperare la salute mentale, che nel settembre 2020 registra il picco nel tasso di utilizzo, con un incremento di uso del 159% rispetto alla media pre-Covid. Secondo Trustpilot, anche l’app Doctor On Demand ha visto un aumento massiccio di pazienti che necessitavano di tele-terapia, con oltre il 50% di crescita per tutto il mese di ottobre. Trustpilot ha analizzato anche le proprie recensioni, per verificare quanto spesso venissero menzionate parole come salute mentale, benessere o wellness. E se tra agosto e novembre 2020 sono state menzionate 2.780 volte, tra novembre 2020 e febbraio 2021 sono arrivate a 4.787. Un dato ancora più esplicito nel confronto anno su anno: le stesse parole tra febbraio 2019 e febbraio 2020 erano state menzionate 3219 volte, mentre tra febbraio 2020 e febbraio 2021 il valore è più che triplicato (10.811 volte).

Durante la pandemia -81,8% recensioni relative a prodotti di viaggio

Riguardo viaggi e turismo, invece, l’Organizzazione Mondiale del Turismo (Unwto) rileva che le destinazioni di viaggio più popolari hanno accolto 900 milioni di turisti internazionali in meno tra gennaio e ottobre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019.
Nello stesso periodo di tempo, anche gli arrivi internazionali sono calati di oltre il 74%. Nel marzo del 2021, la piattaforma danese di recensioni ha esaminato l’attività dei consumatori relativamente al settore del turismo. E il numero medio di recensioni di viaggio raccolte durante la pandemia, è stato inferiore del 39,7% rispetto all’anno precedente. Allo stesso modo, il numero medio di recensioni relative a prodotti di viaggio rilasciate durante la pandemia è stato inferiore dell’81,8% rispetto al 2019.

Un aumento della domanda nei confronti delle agenzie di viaggio

“I dati raccolti da Trustpilot suggeriscono che il settore Salute & Benessere continuerà a crescere rapidamente nei prossimi mesi e che c’è speranza anche per il futuro del turismo”, commenta Claudio Ciccarelli, Country Manager di Trustpilot in Italia. 
Nella seconda estate segnata dal Covid, infatti, Ciccarelli segnala che “stiamo assistendo a un aumento della domanda nei confronti delle agenzie di viaggio a causa della confusione relativa alle regole e alle misure restrittive diverse di Paese in Paese -. Risulta, quindi, essenziale farsi trovare preparati e ricordare che, per puntare alla ripresa, bisogna assecondare i trend e le richieste dei consumatori, essendo pronti a rinnovarsi con loro”.

Pandemia e Gender Gap, l’impatto sui Paesi del G7

Gli stereotipi sul ruolo delle donne nella società sono ancora molto diffusi, e ciò rende sempre più reale il rischio di un ritiro delle donne dalla scena economica, anche a causa dell’impatto della pandemia. I modelli tradizionali infatti rimangono ancora molto attuali nei Paesi del G7, soprattutto quando si tratta del ruolo delle donne e del confronto tra maternità e carriera, e la situazione dopo il Covid è peggiorata. Un sondaggio Ipsos, condotto per WeWorld Onlus, ha indagato la condizione economica delle donne italiane in epoca di Covid-19, mostrando come una donna su 2 abbia visto peggiorare la propria situazione economica a causa del Coronavirus e una lavoratrice su 2 abbia paura di perdere il proprio posto di lavoro.

Stereotipi ancora troppo diffusi 

Se il 64% degli intervistati e il 70% delle donne crede che “sia più difficile per una donna che per un uomo avere una carriera di successo”, il 50% degli intervistati e il 49% delle donne crede che “se vuoi essere una buona madre devi accettare di sacrificare parte della tua carriera professionale”. Questi modelli sono così forti che molti degli intervistati mascherano l’esistenza di disuguaglianze di genere e i meccanismi attraverso i quali queste disuguaglianze si diffondono. Tanto che il 46% degli intervistati ritiene che “le persone esagerano le disuguaglianze di genere”, e il 43% crede che “le donne non scelgono le stesse carriere degli uomini per propria scelta e libera volontà.

La riduzione delle diseguaglianze di genere dovrebbe essere una priorità

Tutti gli intervistati però ritengono che le disuguaglianze di genere esistano almeno in qualche misura, e siano diffuse nei Paesi del G7. Inoltre, in Italia, Stati Uniti e Giappone le persone ritengono che il livello di disuguaglianza di genere sia più alto nel proprio Paese che nel resto del G7. Le disuguaglianze di genere sono una realtà, per questo i cittadini dei Paesi del G7 ritengono che la loro riduzione dovrebbe essere considerata una priorità. Il 90% crede che colmare il gender gap sia importante e per il 29% è addirittura una priorità assoluta (32% donne). Questa aspettativa è ancora più forte in Italia (95%), dove il 50% delle italiane pensa che dovrebbe essere una priorità assoluta.

Le pari opportunità e l’effetto positivo su società e lavoro

Il 97% degli intervistati ritiene che colmare il gender gap nel periodo post-Covid sarà un obiettivo ancora più difficile da raggiungere, e sono soprattutto gli italiani a essere preoccupati. Se le donne avessero le stesse opportunità degli uomini, per il 79% degli intervistati questo avrebbe un effetto positivo sulla società nel suo complesso, per il 74% sull’occupazione, per il 74% sulla crescita economica e per il 73% sui salari complessivi. La percentuale di uomini che pensano che l’integrazione delle donne avrebbe impatti positivi però è leggermente diminuita rispetto all’anno scorso. È possibile che alcuni di loro, in questo periodo instabile e incerto, possano sentirsi minacciati, e quindi meno propensi a sostenere la promozione delle donne.

Green Pass, tutto quello che c’è da sapere per viaggiare

Il Green Pass (che in Europa si chiama EU Digital covid Certificate)  è il documento che ci darà la possibilità di vivere un’estate all’insegna della normalità dopo mesi di lockdown. In Europa entrerà in vigore a partire dal 1° luglio 2021 e avrà la validità di un anno, ma l’Italia si era già portata avanti introducendo nel decreto anti-Covid del 22 aprile 2021 il Green Pass italiano, necessario dal 15 giugno per potersi spostare tra regioni in fascia arancione o rossa e per partecipare a feste ed eventi.

A chi richiedere il Green Pass

Come specificato dal Ministero della Salute, il Green Pass  viene rilasciato in formato cartaceo o digitale dalla struttura sanitaria o dall’ASL territoriale di competenza e sarà disponibile anche nel proprio fascicolo sanitario elettronico. Il documento certifica l’avvenuta vaccinazione, la guarigione, l’esito negativo di un test molecolare o antigenico per la ricerca del Covid-19 eseguito nelle 48 ore antecedenti. Per chi ha già fatto il vaccino sarà quindi la struttura che avrà erogato il trattamento sanitario a rilasciare il certificato. Il Green Pass sarà rilasciato “anche contestualmente alla somministrazione della prima dose di vaccino, con validità dal quindicesimo giorno successivo alla somministrazione fino alla data prevista per il completamento del ciclo vaccinale”.
Nel caso di guarigione, invece, il certificato verrà rilasciato dalla struttura ospedaliera nelle quale si è stati ricoverati, dall’ASL o dai medici di medicina generale. A chi farà un tampone rapido verrà consegnato una certificazione, valida per 48h dal prelievo, dalle strutture sanitarie pubbliche, private autorizzate, accreditate, dalle farmacie o dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta. Le tre casistiche del Green Pass determinano diversi tempi di validità e modalità di rilascio: chi ha completato il ciclo vaccinale avrà un certificato della durata di 9 mesi; chi è guarito avrà un certificato della durata di 6 mesi; infine, in caso di tampone negativo il certificato vale per 48 ore dal test.

A cosa serve il Green Pass 

Il Green Pass italiano serve per spostarsi tra regioni che potrebbero rientrare in zona arancione o rossa, mentre non serve per gli spostamenti tra regioni bianche o gialle, ma sarà necessario anche per partecipare a feste relative a cerimonie civili o religiose, come i matrimoni e battesimi. Il certificato verde sarà utile anche per visitare i propri parenti nelle case di riposo e si ipotizza che, questa estate, servirà anche per accedere a concerti, spettacoli e discoteche. Il Green Pass Europeo, che permetterà ai possessori di muoversi liberamente nella UE senza obbligo di quarantena e probabilmente anche fuori dall’UE, sarà disponibile in formato cartaceo e digitale e sarà dotato di un QR code per facilitare il controllo dei dati.

Fino a 11 giorni per rilevarli: attacchi informatici sempre più sofisticati

Non solo gli attacchi informatici sono diventati sempre più sofisticati e insidiosi, ma sono anche diventati “nascosti”: così silenziosi che possono volerci fino a 260 ore (circa 11 giorni) per individuarne uno. Lo rivela il nuovo rapporto di ricerca Sophos “Active Adversary Playbook 2021”, un vero e proprio vademecum che delinea il comportamento dei cybercriminali e le tecnologie che gli esperti di cybersecurity hanno dovuto scoprire ed esplorare nel corso del 2020 e nei primi mesi del 2021. E che gli hacker siano sempre più capaci e sofisticati è dimostrato anche dal fatto che molti attacchi, appunto, richiedono un sacco di tempo per essere individuati. Secondo i dati raccolti durante l’analisi, è emerso che il tempo medio di permanenza dell’aggressore nella rete di destinazione è stato di 11 giorni (264 ore) e la durata massima dell’intrusione è stata di 15 mesi. 

La tipologia e la modalità degli attacchi

Il 90% degli attacchi analizzati ha visto l’utilizzo del Remote Desktop Protocol (RDP) e nel 69% dei casi, tale protocollo è stato sfruttato per compiere movimenti laterali interni. Le misure di sicurezza per RDP, come le VPN e l’autenticazione a più fattori, tendono a concentrarsi sulla protezione dei punti di accesso dall’esterno. Tuttavia, questi accorgimenti non funzionano se il cybercriminale è già all’interno della rete. L’uso di RDP per il movimento laterale interno è sempre più comune negli attacchi attivi, hands-on-keyboard, come quelli che vedono protagonista il ransomware. Il ransomware è stato rilevato nell’81% dei casi analizzati: il momento in cui il ransomware colpisce è spesso quello in cui l’attacco diventa visibile al team di sicurezza IT. Non è quindi una sorpresa che la maggior parte degli incidenti a cui Sophos ha risposto avessero per protagonista proprio il ransomware. Tra le altre tipologie di attacchi analizzati anche quelli di esfiltrazione, di cryptomining, Trojan bancari, wiper, dropper, pen test ecc…

Il panorama delle minacce sempre più complesso 

“Il panorama delle minacce sta diventando sempre più complesso, con attacchi sferrati da avversari dotati di grandi risorse e numerose competenze, dai cosiddetti “script kiddies” fino ai gruppi più esperti sostenuti da specifiche nazioni” ha detto John Shier, senior security advisor di Sophos. “Questo può rendere la vita difficile ai responsabili della sicurezza IT.  Nell’ultimo anno, i nostri team addetti a rispondere agli incidenti hanno fornito supporto volto a neutralizzare gli attacchi lanciati da più di 37 gruppi di attacco che hanno utilizzato più di 400 strumenti diversi. Molti di questi strumenti sono utilizzati anche dagli amministratori IT e dai professionisti della sicurezza per le loro attività quotidiane e di conseguenza individuare la differenza tra attività benigna e dannosa non è sempre facile. Con i cybercriminali che trascorrono una media di 11 giorni nella rete, implementando il loro attacco mentre si confondono con l’attività IT di routine, è fondamentale che i responsabili della sicurezza IT colgano le avvisaglie da tenere sotto osservazione. Uno dei principali segnali di allarme, per esempio, è quando uno strumento o un’attività legittima viene rilevata in un luogo inaspettato. Bisogna sempre tenere a mente che la tecnologia può fare molto ma, nel panorama delle minacce di oggi, potrebbe non essere sufficiente da sola. L’esperienza umana e la capacità di rispondere sono una parte vitale di qualsiasi soluzione di sicurezza”.