PNRR, per i manager è un’occasione unica per rilanciare il Paese

Per l’83% dei manager italiani il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è un’occasione unica per modernizzare e rilanciare il Paese dopo gli anni di crisi sanitaria. Dai dati della survey condotta da EY e Swg sul sentiment e la fiducia sull’impatto del Recovery Plan, emerge una certa fiducia nei confronti dell’azione svolta dal Governo (70%), ma per quasi il 40% l’importanza attribuita al PNRR rischia di mettere in secondo piano altre priorità per il futuro del Paese. Anche la riforma fiscale riveste un ruolo strategico: popolazione e manager sono infatti allineati nel ritenere il sistema di oggi poco efficace, equo ed efficiente. Secondo l’85% dei manager e l’83% della popolazione, la complessità del sistema fiscale italiano è un ostacolo alla competitività internazionale delle imprese, e secondo l’86% dei manager, la sua complessità ostacola l’ingresso di investimenti esteri.

Riforme

Un’ampia quota della popolazione e 1/3 dei manager intervistati affermano però di non conoscere o comprendere i vari aspetti del Piano in maniera adeguata. In relazione al raggiungimento degli scopi previsti, oltre un terzo degli intervistati (34% popolazione e 36% manager) indica che gli obiettivi a oggi conseguiti con il PNRR sono inferiori rispetto a quanto concordato in sede europea, suggerendo un certo scetticismo generale sullo stato della sua attuazione. Quanto alle riforme percepite più importanti tra quelle previste dal Piano, vi sono la realizzazione delle infrastrutture tecnologiche (50%), le riforme della PA (48%) e della giustizia amministrativa (oltre il 30%), e quelle del fisco e della giustizia civile (32%).

Sistema fiscale

Le aspettative legate a una riforma del sistema più equo ed efficiente vanno innanzitutto nella direzione di una maggiore stabilità della normativa. Sono soprattutto i manager a chiedere maggiore stabilità (85%), limitando il ricorso a decretazioni d’urgenza evitandone la retroattività (69%), ma anche coinvolgendo le parti sociali nelle discussioni (58%), e mettendo a disposizione personale più competente (54%). Solo poco più del 30% dei manager ritiene però che il processo di riforma in atto sia vicino alle esigenze delle imprese, e ancora meno (28%) reputa che favorisca la competitività delle imprese italiane.

Incentivi fiscali

Sul fronte degli incentivi fiscali implementati negli ultimi anni, si registra un riconoscimento unanime del loro impatto positivo. Circa l’80% degli intervistati tra manager e popolazione riconosce che questo sistema ha portato vantaggi alle città, alle imprese e ai consumatori. Tuttavia, è altrettanto forte l’importanza di meccanismi di controllo mirati per evitare abusi e non ostacolare i sistemi economici da premiare. Questo appare evidente soprattutto dalle valutazioni relative all’ecobonus, dove se da un lato è ampio l’accordo sui benefici che ha prodotto (oltre 70%) dall’altro è evidente la percezione che abbia creato una serie di distorsioni del mercato (83% manager), e di problemi di gestione. Anche a causa di linee guida emesse in ritardo, e a tratti poco coerenti (80%).

FederlegnoArredo, ecco le 11 figure professionali che servono per la transizione digitale 

“Dirigente nei servizi di vendita e commercializzazione, responsabile della produzione industriale, responsabile acquisti, responsabile manutenzione macchine; designer; ebanista/falegname; modellatore di macchine utensili; tappezziere; responsabile macchine per la lavorazione del legno; addetto al montaggio dei mobili; operai e maestranza. Ecco le 11 figure che, all’interno della filiera del legno-arredo, saranno maggiormente chiamate a interpretare, grazie a nuove competenze e attitudini, la transizione ecologica e digitale che le imprese dovranno mettere in atto.

Trasformazione digitale per le imprese del comparto

A dirlo è la fotografia scattata dal progetto ‘SAWYER – Impatto della duplice transizione sull’industria del legno-arredo’- cofinanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del Programma sul Dialogo Sociale, coordinato dal Cluster dell’arredo della Regione Catalogna CENFIM a cui FederlegnoArredo ha partecipato insieme ad altre federazioni europee, con l’obiettivo di avere uno strumento pratico ed efficace per accompagnare le aziende associate in una trasformazione digitale e circolare che potrà camminare soltanto sulle gambe e sulle idee di figure specificatamente formate.

“E’ tempo di passare da quella che fino ad oggi abbiamo chiamato alternanza scuola-lavoro a una vera e propria alleanza scuola-lavoro. E questo progetto – spiega Barbara Minetto, vicepresidente Assaredo con delega alla formazione – va letto in tal senso: far sì che teoria e pratica, formazione e impresa siano entrambe e parimenti interpreti del cambiamento. Per altro, la notizia secondo cui nell’ambito del PNRR è previsto anche un rafforzamento degli istituti tecnici superiori orientandoli sempre più verso il mercato del lavoro, va esattamente in questa direzione, come lascia intendere anche l’idea di affidare la loro guida a figure imprenditoriali e indire bandi per la modernizzazione digitale e tecnologica dei loro laboratori. Come filiera – prosegue Minetto – possiamo già vantare esempi virtuosi in tal senso, a partire dalla Fondazione ITS Rosario Messina di Lentate sul Seveso, all’Its del legno-arredo di Pesaro, arrivando all’Innovation Platform del Friuli Venezia Giulia, recentemente inaugurato. Ma dobbiamo fare ancor di più e assumerci la responsabilità di diventare protagonisti dell’evolversi del rapporto imprese-scuola. Ne va certamente anche del futuro delle nostre aziende”.

Professionalità che devono evolversi

“Nel progetto si esplicita in maniera dettagliata come 11 professionalità del nostro settore siano chiamate a evolversi – commenta Angelo Luigi Marchetti, presidente Assolegno e delegato alla Formazione in FederlegnoArredo – ed è evidente quanto le competenze ambientali e digitali saranno alla base della forza lavoro di un domani che già batte alle porte. Come Federazione – ribadisce Marchetti stiamo cercando di anticipare i nuovi bisogni delle imprese, così da stimolare anche la filiera formativa a sviluppare percorsi adeguati alle sfide in atto e progetti come questo, servono proprio a focalizzare obiettivi e strumenti necessari per il loro raggiungimento. Se dobbiamo costruire edifici sostenibili con il legno strutturale, anche operai e maestranze dovranno aver sviluppato le conoscenze per lavorare un materiale finora poco utilizzato in edilizia. È solo uno dei tanti esempi che potremmo fare, ma non adeguarci significherebbe impedire ai nostri giovani e alle nostre aziende di essere competitivi in Europa e non solo”.

Istat, a febbraio cala l’indice di fiducia di consumatori e imprese

Come tutti i mesi, l’Istat monitora il clima di fiducia da parte dei consumatori e delle aziende, per capire quale sia il sentiment della nazione. E per quanto riguarda febbraio la situazione è tra luci e ombre, con un aumento del pessimismo da parte di entrambe le componenti. A febbraio 2022, infatti, l’Istituto di Statistica stima una diminuzione dell’indice del clima di fiducia dei consumatori da 114,2 a 112,4, mentre l’indice composito del clima di fiducia delle imprese sale da 105,3 a 108,2. Tutte le componenti dell’indice di fiducia dei consumatori sono in calo ad eccezione del clima futuro. Più in dettaglio, il clima economico scende da 129,7 a 129,4, il clima personale e quello corrente registrano una flessione più accentuata passando, rispettivamente, da 109,0 a 106,8 e da 114,7 a 109,6. Infine, il clima futuro aumenta (da 113,5 a 116,6).

Il sentiment delle aziende italiane

Con riferimento alle imprese, segnali eterogenei provengono dai quattro comparti indagati. In particolare, l’indice di fiducia diminuisce nel comparto manifatturiero (da 113,7 a 113,4) e in quello del commercio al dettaglio (da 106,6 a 104,9) mentre aumenta nelle costruzioni (da 158,8 a 159,7) e, in misura marcata, nei servizi di mercato (da 94,9 a 100,5).

Le componenti degli indici

Quanto alle componenti degli indici di fiducia, nella manifattura peggiorano sia i giudizi sugli ordini sia le attese sulla produzione in presenza di un decumulo delle scorte; nel commercio al dettaglio i giudizi sulle vendite si deteriorano, le scorte sono giudicate in accumulo mentre le attese sulle vendite sono in aumento. Per quanto attiene il comparto delle costruzioni e quello dei servizi, tutte le componenti sono in miglioramento. In relazione all’andamento della fiducia nei macrosettori produttivi esaminati per ciascun comparto, nel manifatturiero si segnala una diminuzione nei beni strumentali a fronte di un aumento dell’indice nei beni intermedi e una stabilità nei beni di consumo. Per le costruzioni si evidenzia un incremento nel settore della costruzione di edifici e, in particolare, in quello dei lavori di costruzione specializzati. Con riferimento ai servizi, l’indice di fiducia aumenta in tutti i macrosettori con una risalita più decisa nel trasporto e magazzinaggio e nell’informazione e comunicazione. Relativamente ai circuiti distributivi del commercio al dettaglio, l’indice di fiducia registra una caduta nella distribuzione tradizionale e un aumento nella grande distribuzione.

Gli italiani lasciano “il nido” a 26 anni

A quale età i ragazzi lasciano la casa dei genitori? L’età media a cui i ragazzi italiani lasciano il nido famigliare per andare a vivere in autonomia è alta, soprattutto se confrontata con la maggior parte dei paesi del Nord Europa, dove la media è inferiore ai 22 anni. I giovani italiani restano in casa coi genitori fino a 26 anni, ma spesso è una scelta obbligata, perché a costringerli a continuare a vivere con i genitori è l’impossibilità di pagare un mutuo o un affitto prima di raggiungere i 26 anni. È questa una delle evidenze emerse dall’indagine realizzata dagli istituti mUp Research e Norstat per Facile.it, realizzata su un campione rappresentativo della popolazione italiana adulta.

Si sceglie di abbandonare la casa dei genitori per andare a convivere 

Considerando l’uscita di casa da parte dei giovani italiani, l’analisi mostra una differenza tra uomini e donne. I primi, mediamente, lasciano la casa di origine appena prima di compiere 28 anni, le seconde, invece, poco dopo aver tagliato il traguardo del 25esimo compleanno.
Tra coloro che hanno lasciato la casa di origine, più di 6 su 10, pari a oltre 19 milioni di persone, lo hanno fatto per andare a convivere con il proprio partner, percentuale che arriva al 69,7% se si considera il solo campione femminile. Più di 1 intervistato su 10, equivalente a oltre 3 milioni e mezzo di individui, ha lasciato il nucleo per lavorare fuori sede, mentre il 7,7% per studiare in una città differente da quella in cui viveva.

Dove abita chi è uscito di casa?

Dove vivono oggi coloro che sono usciti di casa? Quasi la metà (48,7%), vale a dire più di 16 milioni di italiani, abita in una casa in affitto, percentuale che sale fino a raggiungere il 52,5% tra gli intervistati appartenenti alla fascia 25-34 anni. Sono 8 milioni (25,2%), invece, quelli che vivono in una casa di loro proprietà, ma ‘solo’ 3.300.000 (21,4%) sono donne.
Ma tra chi non ha ancora abbandonato il nido famigliare, quasi 1 su 4 (vale a dire circa 2 milioni e mezzo di individui) è costretto a questa scelta perché nonostante lavori non può permettersi di andare a vivere da solo.

Quando non ci si può permettere di andare a vivere da soli

A vivere questa condizione sono soprattutto le donne: se si prende in esame solo questo sottogruppo la percentuale arriva al 26,1%, ma anche chi ha un’età compresa fra i 25 ed i 34 anni (28,4%). Sono invece decisamente tanti i 30-44enni che abitano ancora con i genitori, pari a 2,7 milioni di intervistati.
Ma c’è anche chi preferisce rimanere con mamma e papà nonostante abbia la possibilità economica di uscire da casa (19,4%): più di 2 milioni.
Tanti, 450mila (4,2%), anche coloro che sono tornati a vivere con i genitori dopo una separazione/divorzio. Tendenza diffusa soprattutto tra il campione maschile (6,6%), poiché nella maggior parte dei casi l’abitazione rimane alla donna.

Bonus mobilità sostenibile, si può ottenere anche nel 2022: ecco come fare  

Nelle vie delle nostre città è sempre più frequente veder circolare monopattini elettrici ed ebike: mezzi di trasporto comodi, che non risentono del traffico dei normali veicoli e allo stesso tempo rispettano il Pianeta perchè non hanno emissioni. Al di là dell’aspetto ecologico, il successo di questa forma di mobilità è dovuta anche al bonus mobilità sostenibile, l’incentivo fiscale introdotto dal Governo nel 2020  che ha permesso di “tagliare” la spesa per chi ha acquistato un veicolo di questa tipologia. La buona notizia è che questo vantaggio torna anche nel 2022, con alcune novità. Ci sono infatti nuove regole per chi ha sostenuto spese per l’acquisto di mezzi e servizi di mobilità a zero emissioni e ha rottamato un vecchio veicolo di categoria M1. Le ultime regole in merito alla richiesta dell’incentivo sono contenute nel provvedimento recentemente firmato dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate che definisce i criteri e le modalità di fruizione dell’agevolazione prevista dal Decreto Rilancio (art. 44 comma 1-septies del DL n. 34/2020) e approva il modello di comunicazione che i contribuenti dovranno trasmettere alle Entrate a partire dal 13 aprile e fino al 13 maggio 2022. Il credito, utilizzabile esclusivamente nella dichiarazione dei redditi, è fruibile non oltre il periodo d’imposta 2022.

A chi è rivolto il bonus e cosa prevede

Il bonus, specifica, una nota di Adnkronos, è un credito d’imposta, nella misura massima di 750 euro, riconosciuto alle persone fisiche che, dal 1° agosto 2020 al 31 dicembre 2020, hanno sostenuto spese per l’acquisto di biciclette, monopattini elettrici, ebike, abbonamenti al trasporto pubblico, servizi di mobilità elettrica in condivisione (sharing) o sostenibile. Per accedere all’agevolazione, nel limite complessivo di spesa di 5 milioni di euro, è necessario aver consegnato per la rottamazione, nello stesso periodo, contestualmente all’acquisto di un veicolo, anche usato, con emissioni di CO2 comprese tra 0 e 110 g/km, un secondo veicolo di categoria M1 rientrante tra quelli previsti dalla normativa in materia (art. 1, comma 1032 della legge n. 145/2018).

Come si può ottenere il bonus?  

Per fruire del bonus mobilità occorrerà comunicare alle Entrate, dal 13 aprile al 13 maggio 2022, l’ammontare delle spese sostenute e il credito d’imposta richiesto inviando il modello approvato con il Provvedimento di oggi utilizzando il servizio web disponibile nell’area riservata del sito o i canali telematici dell’Agenzia. Il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente nella dichiarazione dei redditi in diminuzione delle imposte dovute e può essere fruito non oltre il periodo d’imposta 2022. Entro 10 giorni dalla scadenza del termine di presentazione dell’istanza sarà resa nota la percentuale di credito d’imposta spettante a ciascun soggetto richiedente, sulla base delle richieste ricevute e tenuto conto del limite di spesa di 5 milioni.

Che caratteristiche deve avere l’acqua che beviamo?

L’acqua si sa, è un elemento indispensabile per la vita. Il nostro corpo infatti, è costituito al 70% da acqua: ciò significa che buona parte di ciò che siamo è dovuto proprio a questo elemento.

È facile dunque comprendere il perché sia così importante avere dell’acqua sempre a disposizione e berla ogni qualvolta ne sentiamo la necessità. Gli esperti raccomandano in particolar modo di berne almeno due litri al giorno. Questa è infatti la quantità consigliata per stare bene e garantire al nostro organismo tutti i sali minerali e gli elementi di cui ha bisogno.

La assumiamo sia bevendo acqua ed altri liquidi, che direttamente dal cibo. Vi sono infatti determinati alimenti che sono particolarmente ricchi d’acqua come ad esempio frutta e verdura, così come determinate pietanze come zuppe e minestroni.

Quello che è importante sapere è che l’acqua non è tutta uguale, ma che al contrario vi sono diversi tipi di acqua minerale e dunque cambia anche ciò che essa contiene. Il riferimento è dunque ai minerali e a tutte le altre sostanze disciolte in essa, le quali possono essere benefiche o al contrario nocive per il nostro organismo.

L’importanza di accertarsi sulla qualità dell’acqua

Chiaramente non è un problema andare a bere qualche bicchiere di un’acqua non perfettamente salubre o che comunque presenta degli elementi inutili o nocivi. Il problema si pone invece quando un’acqua malsana, o comunque non idonea al consumo alimentare, viene bevuta in maniera continuata nel tempo.

Ecco perché facciamo sempre bene ad accertarci di quella che sia la qualità dell’acqua cui abbiamo accesso, in particolar modo quella del rubinetto di casa se abbiamo deciso di berla.

Infatti, l’acqua minerale che compriamo in bottiglia al supermercato ha delle precise caratteristiche che possiamo leggere in qualsiasi momento sull’etichetta.

Il problema si pone invece per quella del rubinetto di casa, della quale sappiamo poco o nulla. Certo, di solito ci si può fidare dato che l’acqua che arriva al rubinetto di casa è gestita dall’acquedotto comunale.

Questa acqua viene convogliata all’interno di enormi vasche e analizzata costantemente. Se è necessario, essa viene trattata con cloro o altre sostanze al fine di eliminare eventuali batteri o impurità. Nulla può invece l’acquedotto comunale con il problema relativo alle condizioni delle tubature relativamente all’ultimo tratto, ovvero quello che arriva a casa dell’utente.

Spesso infatti, l’ultimo tratto di tubature è ossidato soprattutto negli impianti più vecchi. Tale stato di deterioramento fa sì che l’acqua assuma uno sgradevole sapore ferroso e che delle volte siano visibili degli elementi in sospensione.

Per rendersene conto basta a riempire un bicchiere d’acqua di rubinetto e verificare se sono visibili piccole particelle che galleggiano o che si trovano appunto in sospensione.

In questo caso l’acquedotto non è responsabile, in quanto quell’ultimo tratto di tubature non è sotto il controllo della società che gestisce le acque pubbliche ma è di competenza del condominio. Quindi eventualmente dovrà essere il condominio stesso a far sistemare il tratto di tubature in questione.

La soluzione rapida ed efficace

Cosa è possibile fare fino a quel momento per far sì che l’acqua possa comunque essere perfettamente potabile e avere un buon sapore? In questo caso, la soluzione migliore è quella di far installare un depuratore domestico.

Ne esistono veramente di tutti i tipi, ed è sufficiente verificare quelli che al momento sono i prezzi dei migliori depuratore acqua domestici per scegliere quello che maggiormente fa al caso proprio. Installato il depuratore giusto, l’acqua tornerà immediatamente ad avere un sapore gradevole e non presenterà più alcun tipo di elemento in sospensione o altra sostanza nociva.

Determinati modelli sono infine in grado di offrire un acqua calda o fredda piacimento, così come una buonissima acqua gasata con un semplice gesto della mano.

Italiani e assicurazioni: i timori spingono le polizze

A novembre 2021 un’indagine di Facile.it mostrava che a stipulare una polizza per la prima volta sono stati 3,6 milioni di italiani, il 6% della popolazione, arrivando così a un totale di 16 milioni di assicurati.
Dei 3,6 milioni di nuovi assicurati, il 34% lo ha fatto perché si sentiva meno sicuro a causa della pandemia, che però non accenna a rallentare.
La variante Omicron spaventa infatti ancora gli italiani, che corrono ai ripari dotandosi di polizze assicurative legate alla vita o allo stato di salute.
cedente.

Aumentano le richieste di informazioni sui prodotti ‘vita’ e ‘salute’

Le persone, impaurite dal prolungarsi della pandemia, hanno richiesto maggiori informazioni sui prodotti assicurativi o si sono interessate di più rispetto alla prima parte dell’anno. Dall’Osservatorio di Facile.it emerge infatti che nel secondo semestre 2021 si riscontra un incremento delle visualizzazioni online e delle richieste di contatto per le polizze vita, pari al 9% rispetto al primo semestre.
“Dallo scoppio della pandemia in avanti abbiamo notato un crescente e costante aumento di interesse da parte degli utenti verso le assicurazioni salute, e nel complesso, per tutti i prodotti a copertura della persona, della sua salute e di quella del suo nucleo familiare”, spiega Irene Giani, responsabile assicurazioni non motor di Facile.it.

Crescita molto consistente per le coperture di puro rischio

Un trend, quello emerso dall’indagine del comparatore online, che trova conferma anche da Allianz. Dal gruppo spiegano infatti di aver rilevato per il 2021 un trend stabile, o in leggera crescita, nelle polizze puro rischio (Tcm), e una crescita nel segmento polizze salute individuali superiore ad altri rami assicurativi.

In CreditRas, joint venture Allianz-UniCredit nella bancassurance, è stata riscontrata una crescita molto consistente per le polizze di puro rischio.
Andamento che consolida quanto contenuto nel bollettino semestrale relativo all’offerta dei prodotti assicurativi dell’Ivass, fermo al 30 giugno 2021, ma dalle indicazioni chiare: al 1 semestre dello scorso anno risultavano censiti 140 nuovi prodotti individuali relativi al settore vita, rispetto ai 106 rilevati nei sei mesi precedenti.

L’offerta deve stare al passo con la domanda

Un incremento che mostra un’offerta che deve stare al passo con la domanda, riporta Adnkronos, cioè con quanto richiesto dai clienti delle compagnie assicurative in tema di salute. Sempre nei primi sei mesi del 2021 la raccolta nel settore vita è stata pari a 58,3 miliardi di euro, in aumento del +18,6% rispetto al 2020, si legge in un altro bollettino dell’autorità sui premi. Il recupero è concentrato sul ramo III relativo alle polizze unit e index linked, la cui raccolta aumenta di +8,5 miliardi (+61,2%), e sul ramo I, cui sono collegate le polizze vita ‘pure’, in crescita su base annua di +2,5 miliardi (+8,0%).

I rischi cyber del 2022, dal furto dati al cloud

Nel 2021 gli hacker hanno usato sempre più ransomware per colpire aziende, infrastrutture critiche e la sanità, ma nel 2022 le aggressioni con richiesta di riscatto si amplieranno, e a queste si affiancheranno il furto di dati ai Vip, le intrusioni nel cloud, lo sfruttamento di vulnerabilità sconosciute nei sistemi e la compromissione dei dispositivi IoT.  A tracciare un quadro sono gli esperti dell’azienda di sicurezza Yarix. “Nel 2022 ci aspettiamo che continuino gli attacchi ransomware basati su un modello di estorsione a quattro livelli: rendere inutilizzabili i dati della vittima chiedendo un riscatto per riottenerne l’accesso, minacciare di divulgare i dati e rendere pubblica la violazione, minacciare di colpire i clienti della vittima e attaccare la supply chain – sostengono gli esperti -, cioè i suoi fornitori di tecnologia con l’obiettivo di manipolare e compromettere l’infrastruttura e il codice sorgente del software”.

Rubare dati a Vip e influencer

Il furto di dati, secondo i ricercatori, rimarrà uno degli aspetti critici nel prossimo anno, con eventi che riguarderanno figure apicali o di spicco (Vip e influencer) in quanto più esposte pubblicamente, allo scopo di ampliare il fenomeno mediatico. Ma con la migrazione sempre più massiccia verso ambienti cloud (secondo Gartner la spesa globale per questi servizi aumenterà del 54% rispetto al 2020), i cybercriminali tenteranno sempre più l’accesso con l’uso di email di phishing per rubare le credenziali, ma verrà sfruttata anche la potenza di calcolo del cloud per fabbricare illecitamente criptovalute.

Lo sfruttamento di vulnerabilità ‘zero day’

Altra minaccia che diventerà più massiccia nel 2022 è quella relativa allo sfruttamento di vulnerabilità cosiddette zero day, ovvero falle nei software sconosciute anche agli stessi sviluppatori. L’ultima in ordine di tempo è quella chiamata Log4Shell, tanto che recentemente anche l’Agenzia italiana di cybersicurezza ha lanciato un allarme.
“Per i produttori di software il tempo utile per far fronte alle vulnerabilità con aggiornamenti sarà sempre più ridotto a una questione di giorni, se non di ore”, sottolineano gli esperti. Nel corso del 2022, inoltre, i cybercriminali utilizzeranno i dispositivi connessi (Internet of Things) “come una comoda base di attacco per la loro attività criminale o come mezzo per muoversi lateralmente all’interno di una rete – spiegano gli esperti -. Altro fronte critico è quello delle auto connesse, diventate ormai un business in forte espansione, e come tale, oggetto di attenzione da parte della criminalità informatica” riporta Ansa.

Le aziende devono imparare a ‘pensare come i criminali’

“La sfida di oggi, per le aziende evolute, è intercettare e neutralizzare le minacce informatiche – osservano i ricercatori di Yarix -. Per mantenere applicazioni e ambienti sicuri, è indispensabile un approccio ‘zero trust’, nel quale qualsiasi utente o dispositivo che tenti di connettersi alle applicazioni e ai sistemi deve essere verificato prima di ottenere l’accesso. Per le aziende sarà inoltre strategico ‘pensare come i criminali’, e iniziare ad avere maggiore visibilità di quello che avviene nel surface web e nel dark web”.

Lombardia, nel terzo trimestre 2021 l’export ha messo il turbo

La Lombardia si conferma ancora una volta il motore dell’export nazionale. A decretarlo sono gli ultimi dati contenuti nel rapporto di Unioncamere Lombardia sul commercio estero nel terzo trimestre 2021, che evidenzia come la Regione sia tornata non solo ai valori pre-pandemia, ma li abbia anche superati, tanto che il valore delle esportazioni lombarde segna un +8,6% sul terzo trimestre 2019. Il valore delle esportazioni originate dalla Lombardia rimane oltre i 33 miliardi di Euro e le importazioni si attestano oltre i 36 miliardi complessivi, anche a causa dell’aumento dei prezzi, per cui il deficit commerciale sale a 3,1 miliardi di euro.

“L’effetto prezzi”

Il cosiddetto “effetto prezzi” si fa sentire sull’andamento delle quantità scambiate in termini di incremento dei dati in valore. Infatti l’export registra per le quantità una flessione congiunturale del 12,8% e l’import del 4,5%, entrambe superiori alle corrispondenti flessioni congiunturali dei dati in valore. “L’export lombardo mantiene gli elevati livelli pre-crisi raggiunti dopo il recupero competitivo post pandemia commenta il Presidente di Unioncamere Lombardia Gian Domenico Auricchio – Questo assestamento era atteso, considerato il periodo estivo e le difficoltà di approvvigionamento, confermando il quadro congiunturale complessivo di solidità dell’economia regionale”.
“Gli sforzi delle imprese lombarde – ha spiegato l’assessore allo Sviluppo Economico di Regione Lombardia, Guido Guidesi – ci consentono di certificare una ripresa che oramai è strutturale messa però a rischio dai costi energetici e dall’approvvigionamento delle materie prime; non bastiamo noi da soli a richiamare l’urgenza di questi temi. Il posticipo ulteriore di una discussione in Europa è un segnale che ci preoccupa. Il sistema lombardo continuerà ad impegnarsi a sostegno delle nostre imprese e del lavoro, chiediamo anche agli enti sovraregionali di attenzionare le priorità: costi dell’energia e approvvigionamento delle materie prime significano oggi occupazione per il futuro”.

I settori protagonisti dell’export

Il comparto legato ai metalli e alle loro produzioni si conferma forte motore della ripresa (+34,6% su base tendenziale) con effetti positivi sulla performance della maggior parte delle provincie. Altri contributi significativi derivano dall’export dei mezzi di trasporto (+29,7%) grazie alla ripresa dell’export di aeromobili e delle sostanze e prodotti chimici (+23,0%). Finalmente recuperano i livelli pre-crisi anche i prodotti tessili, pelli e accessori (+17,0% tendenziale e un dato superiore del +4,3% rispetto al 3° trimestre 2019). Buono l’andamento di computer e apparecchi elettronici (+12,9%) mentre restano in negativo gli articoli farmaceutici (-2,5% tendenziale) che non hanno ancora recuperato i livelli 2019 (-9,5%).

La situazione sociale e lavorativa in Italia nel 2021

Alti tassi di disoccupazione, soprattutto dei giovani, e ampie sacche di inattività, soprattutto femminile, sono le caratteristiche di un mercato del lavoro sempre più sclerotizzato. L’emergenza sanitaria ha avviato però un nuovo ciclo dell’occupazione. Il 36,4% degli italiani ritiene che la crisi da Covid-19 si sia tradotta in una maggiore precarietà, mentre per il 30,2% degli italiani l’esperienza del lavoro da casa ha dato la possibilità di conciliare le esigenze personali con quelle professionali. Cresce poi anche l’aspettativa nel futuro, soprattutto per il 27,8% della popolazione, che considera le risorse europee e il Pnrr elementi in grado di garantire occupazione e sicurezza economica per lavoratori e famiglie.
Si tratta di alcune evidenze del capitolo ‘Lavoro, professionalità, rappresentanze’ del 55° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese nel 2021.

Retribuzioni disincentivanti e condizioni inadeguate per avviare un’attività

Per il 30,2% degli italiani al primo posto tra i fattori che frenano l’inserimento professionale ci sono le retribuzioni disincentivanti offerte in cambio della prestazione lavorativa. Anche nei confronti di chi dispone di competenze e capacità adeguate. Al secondo posto (29,9%), la persistenza di condizioni inadeguate per avviare un’attività in proprio, dal peso degli adempimenti burocratici al carico fiscale che grava sull’attività d’impresa.

Lavoro dipendente e libere professioni

Quanto alle retribuzioni degli oltre 15 milioni di lavoratori pubblici presenti negli archivi Inps, il dato medio complessivo riferito alla giornata retribuita si attesta a 93 euro. Una donna percepisce una retribuzione inferiore di 28 euro rispetto a un uomo, e la sua retribuzione è inferiore del 18% rispetto alla media. In base all’età emerge invece una differenza di 45 euro tra un under 30 e un over 54, ed è ampia anche la distanza tra la paga giornaliera di chi ha un contratto a tempo indeterminato (97 euro) rispetto al tempo determinato (65 euro), e fra full time e part time: la prima vale più di due volte la seconda. Resta invece intatto l’appeal delle libere professioni, definite dal 40,0% degli italiani attività prestigiose, che fanno valere le competenze acquisite e l’impegno dedicato allo studio. Per il 34,1% poi si tratta di un lavoro utile, importante per la collettività.

Obiettivi di crescita del Pnrr vs basso impegno nella formazione

Il basso impegno nella formazione continua e il ritardo nell’adozione di efficaci politiche attive del lavoro rischiano di rappresentare una strozzatura per il perseguimento degli obiettivi di crescita previsti dal Pnrr. Le imprese italiane di minore dimensione accedono poco ai fondi per la formazione finanziata (6,2%), contro il 64,1% delle aziende che contano più di 1.000 dipendenti. Per realizzare gli obiettivi del Pnrr è necessario disporre di un sistema coerente di politiche attive del lavoro, in grado di gestire il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro. Oggi però i centri pubblici per l’impiego riescono a entrare in contatto soltanto con il 18,7% delle persone in cerca di occupazione, mentre a livello europeo la percentuale sale al 42,5%.